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Il 1° febbraio è la giornata mondiale del velo islamico: di che cosa si tratta?

1 Febbraio 2023
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Giornata mondiale del velo islamico: che cosa sappiamo?

Si chiama World Hijab Day ed è conosciuto più comunemente come Giornata mondiale del velo islamico.

Non se ne parla molto, in effetti, ma questa giornata esiste già da qualche anno.

È il 2013 quando Nazma Khan decide di lanciare la ricorrenza: l’obiettivo? Invitare tutte le donne, musulmane e non, a indossare per 24 ore il velo islamico e provare così a combattere ogni forma di discriminazione a esso associata.

Nazma Khan, originaria di New York, all’età di 11 anni è immigrata dal Bangladesh e si è ritrovata a dover costruire la sua vita da zero. Nuova casa, nuova vita, nuova scuola e tante nuove difficoltà da affrontare. Pensate che a scuola era l’unica ragazzina a indossare l’hijab e per questo motivo, come possiamo ben immaginare, il suo percorso di inserimento e di accettazione non è stato dei più semplici.

«Crescendo nel Bronx, a New York, ho subito molte discriminazioni a causa del mio hijab. Alle scuole medie o ero Batman, o ero un ninja. Quando rientrai a scuola dopo l’11 settembre 2001, mi chiamavano Osama bin Laden oppure terrorista. È stato terribile. Ho pensato che l’unico modo per porre fine alla discriminazione fosse chiedere alle nostre sorelle di sperimentare loro stesse l’hijab»

Tuttavia, dalle difficoltà molto spesso si rinasce più forti e più consapevoli. Per questo Nazma, pensando proprio a queste, ha scelto di fare qualcosa di grande. La sua idea, sin dal principio, puntava a promuovere sia la libertà personale di espressione religiosa, sia la comprensione culturale.

Indossare l’hijab deve essere una scelta libera, non un obbligo, e per chi decide di indossarlo non ci dovrebbero essere discriminazioni o etichette intrise di stereotipi e pregiudizi.

Le tappe della giornata mondiale del velo islamico

Da quando è stata istituita, pare che ogni anno siano più di 150 i Paesi partecipanti alla Giornata Mondiale del velo islamico. Numerosi volontari e ambasciatori si impegnano annualmente a organizzare eventi volti a sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema ancora oggi molto delicato come quello dell’hijab.

Nel 2017 lo stato di New York ha riconosciuto ufficialmente il 1° febbraio come il World Hijab Day.

Lo stesso anno la Camera dei Comuni del Regno Unito ha ospitato un evento per celebrare la giornata. Organizzato da Tasmina Ahmed-Sheikh, parlamentare SNP per Ochil e South Pertshire, l’evento ha visto la partecipazione anche della Prima Ministra Theresa May.

«Dato il clima attuale, la Giornata mondiale dell’Hijab assume un’importanza ancora maggiore. Dobbiamo alzarci in piedi e dire chiaramente che le donne hanno il diritto di scegliere cosa indossare, sempre, ovunque e comunque. La Giornata mondiale dell’Hijab è un evento che dovremmo essere orgogliosi di celebrare, non solo per la tolleranza religiosa ma per i diritti delle donne in tutto il mondo» ha dichiarato Tasmina Almed-Sheikh.

Nel 2018 il Parlamento scozzese ha anche ospitato una mostra di tre giorni per celebrare la giornata. Me non è tutto: la Camera dei Rappresentanti ha approvato un disegno di legge volto a dichiarare il primo giorno di febbraio di ogni anno come Giornata Nazionale dell’Hijab nelle Filippine.

Lo stesso anno la World Hijab Day Organization è diventata un’organizzazione senza scopo di lucro la cui unica e sola volontà sarà sempre quella di combattere la discriminazione contro le donne musulmane attraverso il potente (ma spesso sottovalutato, ndr) elemento della sensibilità educativa e dell’empowerment.

Nel 2021 Nazma Khan ha fondato il mese internazionale della storia musulmana con l’intento sia di abbattere l’islamofobia a livello mondiale, sia di celebrare i contributi di uomini e donne musulmani nella storia.

Nel 2022 Nazma Khan è stata scelta come oratrice ospite al quinto Summit Internazionale Donne e Giustizia in Turchia, concentrandosi sul tema della discriminazione subita dalle donne musulmane che indossano l’hijab in pubblico e nel mondo del lavoro.

#NoHijabDay: non tutte le donne sono d’accordo

Se da una parte ci sono donne che mostrano fiere il proprio hijab come segno di autodeterminazione e di lotta alle discriminazioni sociali, culturali e religiose, dall’altra ci sono donne che dicono di no a questa iniziativa.

Considerata da molte persone pura propaganda, la WHD non piace proprio a tutte. A parlare sono le donne che sulla loro pelle hanno sperimentato umiliazioni e costrizioni da parte degli uomini in fatto di scelte di vita e di costume. La contrapposizione è totale: hijab indossato sul capo vs. hijab appeso a un bastone in segno di protesta. Due immagini dal valore opposto ma allo stesso tempo assai potente.

Su Instagram sono diversi gli hashtag dedicati alla contro propaganda: 3.683 #nohijabday, 45 #nohijabdays, 64 #nohijabday2023, 48 #nohijabdaydoniriw, 7 #nohijabday2021 e così via.

«Donne, vita, libertà» – Le donne iraniane bruciano l’hijab e rischiano la vita

«Donne, vita, libertà»: sono queste le parole che riecheggiano nelle strade di tutte le città dell’Iran, mentre le donne cercano con tutte loro stesse di dire basta alle dure repressioni messe in atto dalle autorità islamiche. Impossibile dimenticare la giovane Mahsa Zhina Amini, appena 22 anni, morta il 16 settembre 2022 per mano della “polizia morale” della Repubblica islamica. La morte della giovane donna ha scatenato una reazione domino di proteste in tutto il paese. È proprio a causa dell’hijab che Amini è morta: il non aver indossato correttamente il velo le è stato fatale. Tra l’enorme rabbia e la profonda tristezza, le donne iraniane hanno scelto di togliersi il velo e di bruciarlo pubblicamente: le conseguenze sono state devastanti.

Le donne iraniane cantano per la loro libertà, si tolgono l’hijab e lo bruciano davanti agli occhi dell’oppressione, hanno la forza del mondo e sono disposte a morire pur di far valere la loro libertà.

L’hijab, dunque, continua a essere un simbolo dalla doppia valenza: unisce e divide, libera e opprime. La contro propaganda si rivolge soprattutto all’imposizione maschile dell’hijab nei confronti delle donne, ma è bene fare chiarezza anche su questo punto.

Che cos’è l’hijab? È obbligatorio indossarlo?

Il termine hijab (derivante dalla radice h-j-b, rendere invisibile, celare allo sguardo, nascondere, coprire) indica qualsiasi barriera di separazione posta davanti a un essere umano, o a un oggetto, per sottrarlo alla vista o isolarlo. Acquista di conseguenza anche il senso di velo, cortina o schermo.

Nell’immaginario comune è il velo islamico più diffuso, ossia quel foulard che copre i capelli e lascia scoperto e ben visibile il volto. La domanda che spesso sorge spontanea è: «Ma è obbligatorio?»

Nel Corano non è esplicitamente scritto che le donne debbano per forza indossare l’hijab. È piuttosto consigliato di vestirsi pudicamente e di coprirsi per evitare le molestie, ma non ci sono riferimenti specifici né al concetto di velo, né al concetto di senso di pudore. In particolare, è bene sottolineare che c’è una totale libertà di scelta di indossare il velo.

L’hijab: simbolo dalle mille sfaccettature

Indossare l’hijab porta con sé diverse motivazioni: c’è chi lo indossa come simbolo di fede, c’è chi lo indossa per rivendicare la propria identità o chi, ancora, decide di indossarlo come simbolo politico o come accessorio culturale tipico del proprio luogo di provenienza. Infine, ma non per importanza, sono molte le donne che decidono di indossarlo come simbolo femminista.

NOTA BENE: Sicuramente non è l’hijab (come nessun altro capo di abbigliamento) a fare di una donna (o di un uomo) un/a femminista. L’abito non fa il monaco, soprattutto in casi come questo. Nell’Islam i femminismi esistono e fanno parte della corrente più diffusa, ossia quella intersezionale. Ce ne sono diversi e ognuno di essi ha sensibilità diverse, ma la lettura è univoca: decostruire le sovrastrutture imposte dalla visione wahabita dell’Islam e abbattere gli stigmi orientalisti dell’occidente che vede e considera, sbagliando, l’Islam come una religione misogina.

Il velo, l’hijab, non è da considerarsi un simbolo di oppressione, ma lo diventa nel momento in cui lo si indossa NON per libera scelta.

Ed è sempre la libertà, in fondo, a fare discutere: sembra impossibile, ma è proprio così.

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