La relazione tra l’arte e l’impresa è una porta che si è aperta già da tempo, ma che continua a evolvere nelle forme, nei linguaggi e negli strumenti.
Mette in questione, accende nuove prospettive e crea terreni comuni su cui muovere le fila del business, per traghettare le imprese verso un rapporto sostenibile con territorio e comunità.
Facciamo un passo indietro per cercare di recuperare lo spirito di questa collaborazione, gli obiettivi, il senso dietro l’unione di due istanze apparentemente divergenti.
La fabbrica di Adriano Olivetti
Un imprenditore illuminato può cambiare la prospettiva del fare impresa. La fabbrica di Adriano Olivetti degli inizi ‘900 ha saputo unire saperi tecnici e umanistici, ingegneri e intellettuali, creando un’azienda fertile e un’identità flessibile, riconosciuta e riconoscibile allo stesso tempo.
Un portato storico e culturale che ha reso Ivrea, la città natale dell’azienda produttrice di macchine da scrivere, calcolatrici meccaniche e tecnologie informatiche, Patrimonio UNESCO.
In Lombardia, più precisamente a Crema, cittadina resa famosa dal celebre Oscar Call me by your name, l’architetto Marco Zanuso insieme ad un giovane Renzo Piano diedero vita alla fabbrica Olivetti, un vero esempio di unione fra arte e impresa.
Cosa significa fare arte nell’impresa oggi
Dal caso olivettiano cremasco ne deriva una bella storia di successo del rapporto fra arte e impresa nel tempo.
Nata negli anni ’60 e chiusa nel 1992, è stata acquistata nel 2016 dall’azienda Ancorotti Cosmetics, la quale ha restaurato ciò che per anni è stata un’area dismessa.
In termini di impatto sulla comunità si tratta di un intervento decisamente positivo che ha privilegiato un’operazione di rigenerazione urbana a una nuova costruzione in aree verdi, riportando in auge l’importante cultura olivettiana.
Il rapporto arte e impresa può andare oltre
Proseguendo la storia troviamo un ulteriore punto di incontro tra l’odierna Ancorotto e la ex Olivetti. L’azienda ospita infatti il secondo polo espositivo delle celebri macchine da scrivere della città.
A una prima parte già esposta al Museo Civico di Crema e del Cremasco, ne segue una seconda in azienda. Un percorso espositivo che sancisce un legame forte tra i due linguaggi.
Se si può andare oltre tutto questo? Sì, si chiama attivismo.
Essere attivisti con l’arte
Il passo successivo consiste nell’essere attivatori culturali, ideologici, capaci di coinvolgere in questa impresa il territorio e la comunità.
Non solo mostre, esposizioni e aperture garantite su richiesta, ma un vero e proprio coinvolgimento delle persone all’interno di un progetto più grande.
Il caso Olivetti apre un dialogo su come oggi le imprese possono non solo “fare”, ma “fare con” e sul significato profondo delle scelte e delle iniziative che si realizzano.
Sarebbe bello per il futuro ripensare al coinvolgimento dei giovani, degli studenti e degli abitanti che hanno vissuto l’impresa in un impegno di informazione e divulgazione sull’importanza dei saperi trasversali.
Molto più di macchine da scrivere
Un segno tangibile di quanto tecnica e umanità siano fondamentali nei percorsi di formazione, non solo come professionisti ma prima di tutto come persone.
Nel 1923 il Centro di formazione meccanici Olivetti progetta una nuova forma di apprendistato e viene aperto anche all’esterno della fabbrica. Il piano di studi comprendeva insegnamenti di cultura generale, educazione artistica, visite alle altre fabbriche, mostre e musei.
Rappresenta un’ideologia all’avanguardia, capace di mettersi a disposizione di un’intera comunità e portare avanti ideali e valori.
Questo è il significato di essere attivisti: apertura, condivisione, crescita.
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