Dispiace per Brumotti, ma la verità è che esiste solo se lo prendono a sprangate

31 Maggio 2020
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Chi crede che Brumotti sia stato picchiato perché fa informazione? Ci credono al massimo quelli de Il popolo di Striscia. Non ci crede nemmeno Salvini che lo elegge a eroe, lo sbandiera per lisciare il pelo al potenziale elettorato che il Popolo di Striscia incarna.

Non si è mai visto un giornalista investigativo andare a mostrare le ferite e dire frasi tipo: mi hanno sbattuto un oggetto contundente sulla mascella. Uno serio una roba del genere non la fa. Brumotti non è che non sia serio, ma esiste solo se lo prendono a sprangate.

Non voglio scomodare Carmelo Bene ma è il primo riferimento che mi viene in mente. Brumotti non esiste.

Brumotti è l’emanazione di un’assenza. Abita in un contesto televisivo di intrattenimento, in cui creare una narrazione di “denuncia” è stato lo scudo per non essere bollato come trash televisivo. Il risultato? Striscia che denuncia è ancora più trash di Striscia del Gabibbo. I tapiri, gli inseguimenti agli inviati, Wanna Marchi e i santoni, per carità è tutto vero, in qualche modo spesso Striscia ha contribuito a tirar su delle magagne dal pantano. Ma quel tizio con la ventosa per il cesso in testa, Staffelli, Jimmy Ghione, che viaggio mentale sono?

Striscia è una degenerazione del sistema dell’informazione. 

Assetati di news, strafatti di input che poi non gestiamo, assuefatti a violenza e degrado, bisognosi di andare sempre uno step oltre nell’abisso, abbiamo delegato la denuncia sociale a un programma di intrattenimento. O meglio, questo programma ha scavato nell’inconscio italiano per decenni ogni sera in fascia oraria da tg, autolegittimandosi, riproponendone le formule ma in chiave film di Jerry Calà. La formula dei due conduttori all’americana, le veline, i cani, il Gabibbo, i servizi. È lui o non è lui? Cerrrrrrto che è lui. Cazzo, nemmeno la cura Ludovico Van è in grado di farti il lavaggio del cervello così bene.

Così ecco Brumotti, poverino, che per campare gli tocca dire che è contro la droga (che sarà pure vero, non lo mettiamo in dubbio), ma soprattutto gli tocca farsi picchiare cosicché si parli di lui e non venga il suo momento di passare lo scettro a un altro che magari fa le scorregge con le ascelle e cerca gli spacciatori.

Mi fa tanta tenerezza che Brumotti giri sempre in bici, che è la cosa che sa far meglio e che vada contro il crimine sempre sulla sua fedelissima mountain bike. In qualche modo ci crede anche lui, si sente che non si sta sputtanando del tutto proprio perché fa le acrobazie con la bici. Li è se stesso. Poi quando arrivano gli spacciatori, invece che scappare gli tocca fare il vero lavoro per cui lo pagano, così gli va incontro a braccia aperte: ecco, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per il Grande Tapiro Cosmico. Non è un rito collettivo, non è il Cristo, è un atto di martirio che inscena per rimanere famoso.

Se fossimo in Batman ci sarebbe quella scena epica in cui il vero Bruce Wayne deve disarmare i suoi imitatori, degli sciocchi travestiti da lui che finirebbero per farsi ammazzare.

Brumotti si fa picchiare in pieno giorno in centro a Milano, al sicuro. Non so se ci andrebbe di notte in qualche palazzo di Baggio o a Scampia. E se lo facesse sarebbe solo per restare sulla breccia. Il problema è che magari un giorno ci rimette le penne per davvero. E che facciamo gli intitoliamo le strade? Gli dedichiamo qualche premio giornalistico tipo Penne Pesto e Inchiostro? Oppure ci tocca dire che è un morto sul lavoro qualunque, uno del mondo dello spettacolo, dove ti chiedono di venderti l’anima e il buco del culo per due lire e quattro like? Ognuno è libero di fare le sue scelte, ma non dimentichiamoci mai i motivi per cui le facciamo. Brumotti fa benissimo a fare ciò che vuole, ma noi ricordiamoci sempre che noi andiamo al lavoro in ufficio, in ospedale, nel camion. Lui va al lavoro facendosi pestare in Porta Venezia. Sono scelte.

 

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