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Come si racconta una storia, ovvero come spiegare i mortali a un alieno immortale

19 Luglio 2019
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Immagina di incontrare da qualche parte nella galassia un alieno particolarmente curioso, ossessionato da tutte quelle domandine antipatiche che cominciano con “che cos’è…”. Un Socrate completamente verde, dal cucuzzolo del cranio oblungo alla punta dei suoi sette tentacoli. Un’unica differenza: con la cicuta, questo qui non sarebbe morto manco per niente, è immortale.

Dopo essersi informato sulla chimica della nostra atmosfera d’origine e sulla termica della nostra stella di provenienza, dopo avere saputo che noi ci definiamo esseri viventi umani, prima o poi finirebbe di certo col chiederti: “e che cos’è la vita umana?”

Ora, potresti snocciolargli trattati su trattati di anatomia e di psicologia, di sociologia, di filosofia teoretica e pratica e di biologia evoluzionistica. Ma per quante nozioni tu possa fornirgli, per quanti dati, numeri, analisi, punti di vista tu riesca a sciorinare, lui resterebbe lì davanti a te con i suoi tredici occhietti gialli imbambolati.

Eureka!, gridi a un certo punto, così forte che il povero alieno incassa il testone nel suo corpo di gelatina al pistacchio (è immortale ma odia i rumori molesti). Ti è venuta solo un’idea, ti scusi, tutto qui, ma gli assicuri che è un’idea grandiosa: raccontargli di come la domenica precedente tu abbia cercato di riparare il tuo frullatore bianco e rosso.

Con tutta la tua buona volontà, perché vai pazzo per le centrifughe di finocchio e zenzero, con la tua miopia da meno tre diottrie nell’occhio sinistro e la tua manualità da uno che a ruba-bandiera mancava sempre lo straccio, con le tue pinze arrugginite e il tuo cacciavite spuntato da cassetta degli attrezzi polverosa. Gli racconti di come, nonostante tutto ciò, tu fossi riuscito a farlo funzionare di nuovo, quel benedetto frullatore bianco e rosso: le lame sul fondo avevano vibrato, avevano emesso un sibilo di vita metallica, bzzz.

Ma, quando sembrava che fosse fatta, hai sentito un inequivocabile odore di bruciato, tutto s’è fermato di nuovo, e per sempre: non c’era più verso di far comprendere la lingua dell’elettricità a quell’elettrodomestico, adesso diventato una cosa inerte, un corpo senza più uno scopo se non quello di deteriorarsi.

Gli racconti di come tu abbia quindi deciso di andartene a comprare uno nuovo, di frullatore, nel grande magazzino a tre fermate di metro da casa tua. Il manico era di quel grigio, quel grigio, sai?, quello che non sembra mai sporco, spieghi all’alieno, e io sono molto pigro. Guarda come frullano le lamette là in basso, gridacchiavi appena rientrato in casa, con la spina già dentro la presa prima che tu ti fossi tolto il cappotto.

Ecco, raccontando tutto ciò tu puoi mostrare a quella creatura di un’ingenuità stellare che cosa sono la vita umana e la morte umana e la rinascita umana, puoi spiegarle che cos’è la speranza umana e che cos’è l’angoscia umana e che cosa sono la frustrazione e la redenzione umane.

Un racconto è il miglior modo per illustrare agli alieni e agli dei immortali che cosa significhi essere al mondo per la nostra specie. Un racconto (ma pure un romanzo e, in generale, ogni storia) è una risposta in forma di esempio alla domanda: “che cos’è la vita umana?”.

Fin da quando siamo bambini – da quando le addizioni algebriche dovevano essere trasformate in barrette di cioccolato e in mele di gesso alla lavagna perché potessimo comprenderle – le idee si fanno davvero visibili quando indossano un volto – anche il nostro amico alieno, dopo tutto, è un corpo. E l’idea della Vita indossa maschere che hanno i lineamenti sinuosi, e ogni volta irripetibili, delle storie. In un frullatore può starci tutta la galassia, e chi legge o ascolta qualsiasi storia sensata può bersi centrifughe di stelle.

 

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