C’è un buco nell’universo, e si trova proprio nella nostra Galassia. Niente di nuovo, viene da pensare, esistono i cosiddetti buchi neri, e finora nella Via Lattea ne sono stati individuati un paio di dozzine (anche se gli esperti stimano che ce ne siano oltre 100 milioni). Ma la storia è un po’ più affascinante, e complessa, di come appare; perché gli scienziati, continuando a ricercare, si sono accorti che sì, c’è un buco nella Via Lattea, ma che non esiste nessun buco nero.
Come tutti i misteri più intriganti trovare la soluzione non è stato semplice, ma la scoperta segna un punto di volta senza precedenti. Come ha dichiarato l’astronomo Thomas Rivinius (uno degli scienziati che ha condotto lo studio) in una lunga intervista al magazine The Atlantic, i contenuti della ricerca: “Possono avere effetti piuttosto importanti sulle galassie e, più in generale, sui sistemi stellari”.
Le origini del mistero dei buchi neri nella Via Lattea
È la primavera del 2020 quando il gruppo di astronomi guidati dal dottor Rivinius riesce a scorgere un buco nero a soli 1.000 anni luce dalla Terra, il più vicino mai trovato prima d’ora. Lo avevano rilevato in una costellazione chiamata Telescopium, annidato accanto a due stelle, visibili a occhio nudo dall’emisfero australe. Analizzando i dati le cose hanno però iniziato a complicarsi, e quello che sembrava il finale di una lunga ricerca era in realtà solo il primo capitolo di una una lunga storia. Il buco nero non esisteva, e il team di Rivinius, da solo, non era in grado di capire il problema e trovare una soluzione. I buchi neri sono enormi, spesso anche quattro volte più grandi la massa del sole, come potevano le immagini del telescopio rivelarsi inesatte?
Presi dallo sconforto, gli scienziati del dottor Thomas decidono di pubblicare i risultati, nella speranza che altri membri della comunità scientifica possano venire in soccorso e dare la loro interpretazione. Non passa molto prima che il team di astronomi guidato dalla dottoressa Julia Bodensteiner contatti Rivinius per dare il proprio contributo: “Le loro tesi mi hanno fatto davvero sudare – ha spiegato lo scienziato – perché mi sono reso conto che, forse, erano le conclusioni più plausibili”.
La verità sui buchi nella Via Lattea
Il nuovo team si accorge che i risultati pubblicati da Rivinius sono molto simili a un sistema stellare che stavano studiando, e che anche in quel caso non portava all’esistenza di un buco nero. Ecco allora il suggerimento per una nuova interpretazione: i dati stavano mostrando l’interazione tra due stelle. Le stelle vivono per centinaia di milioni (anche miliardi) di anni, scorgere il momento in cui ruotano l’una attorno all’atra è più unico che raro, ma non impossibile, per questo motivo Rivinius decide di fare squadra con il nuovo team e risolvere l’ultimo tassello del puzzle: capire se le due stelle ruotano attorno all’orbita di un buco nero, oppure se la distanza che intercorre tra i due corpi celesti è così poca da far sì che una delle due stelle ruoti perché ha strappato del materiale dalla compagna, guadagnando una piccola spinta.
L’unico modo per scoprirlo era recarsi in Cile, dove un telescopio particolare avrebbe restituito un’immagine nitida della situazione. “Anche se hai centinaia di sistemi simili, o migliaia di sistemi, non ti aspetti di riuscire a vere che le stelle siano in quella precisa fase, di solito le vedi sempre o prima o dopo”, ha dichiarato Rivinius, affascinato dalla scoperta e dalla possibilità di aver (per la prima volta) assistito all’interazione di un sistema di stelle binario.
Oggi i due team lavorano a stretto contatto, nella speranza che il lavoro di quadra faccia avvistare un nuovo buco nero vicino alla Terra. Al momento, quello più vicino dista circa 3.000 anni luce, ma Rivinius sospetta che il vero buco nero più vicino sia a poche centinaia di anni luce di distanza. Va solo trovato.