Giornata mondiale dell’ambiente 2023: cos’è il greenwashing che infesta la comunicazione sostenibile?
Cos’è il greenwashing? E come evitare che infesti la nostra comunicazione sostenibile? Durante la Giornata mondiale dell’ambiente 2023 molti si chiedono «ho bisogno di parlare di sostenibilità, che cosa posso fare?»
Questa è la domanda che fa da leitmotiv nei brainstorming di comunicazione aziendale degli ultimi 10 anni. È una domanda che, diciamocelo una volta per tutte, oggi è improponibile. Perché andrebbe corretta così: «Che cosa posso fare per evitare che la mia azienda sia tacciata di greenwashing?».
Il greenwashing è quel “tradimento” molto frequente nella comunicazione, che consiste nel lanciare messaggi generici di adesione a pratiche virtuose per l’ambiente, dimenticando che regole, leggi, disciplinari sulla produzione manifatturiera sono sempre più foglie di fico. Aderire a generiche best practices sull’impatto ambientale non è considerato credibile dalla maggior parte della generazione Z e dei Millennial. Anzi, sempre più spesso è visto come un modo facile per lavarsi, appunto, la coscienza.
La piaga del greenwashing: oggi “sostenibilità” è una parola vuota
Oggi la parola sostenibilità è un contenitore vuoto, il cui uso smodato ha creato saturazione nella testa delle persone, inficiando anche le migliori intenzioni degli imprenditori illuminati.
Molti social media manager sanno che oggi un’azienda deve essere in grado di rispondere a domande sempre più sfidanti da parte del proprio pubblico: puoi fare un vino biologico, ma il tuo metodo rispetta le api? Puoi impegnarti a usare solo bottiglie di vetro, ma quanta acqua consumi per il rilavaggio? Puoi aumentare il benessere dei lavoratori che cuciono i tuoi pantaloni in Asia, ma che impatto chimico ha la produzione dei modelli di denim “sbiadito” sull’ambiente della zona?
L’effetto boomerang del greenwashing
In questo ambito emergono continuamente nuovi allarmismi che, se seguiti pedissequamente, comportano rivoluzioni nella propria filiera industriale. Perché oggi nessuno parla più dell’olio di palma, dopo che ha costretto centinaia di aziende a spostare le produzioni e ad accollarsi l’improvvisa povertà delle popolazioni che su quell’olio campavano?
Sono temi complessi, ma bisogna muoversi condividendo scienza e conoscenza con chi studia davvero e non si fa condizionare dalle mode.
Non cedere al greenwashing: esempi virtuosi
«Ad Amsterdam, città in perenne carenza di alloggi è partita la costruzione di 82 appartamenti, nei quali sono ben accetti gli animali selvatici, che dopo i vari lockdown hanno ben deciso di tornare a vivere in città.
In fin dei conti ci vuole poco, basta pensare prima di costruire: aggiungere pezzi di habitat necessario per molte specie non umane e consentire loro di creare nidi senza far danni alle facciate. Ne godranno diversi tipi di uccelli e pipistrelli. Basta sfruttare piccoli invasi tra i piani per ospitare ricci e pesci».
Il nuovo edificio, chiamato Proto-Zoöp Zeeburg , utilizza un modello unico di “zoöp”(abbreviazione di zoöperation, è una combinazione di coop e zoe, la parola vita in greco) che obbliga i capi progetto a includere sempre una innovazione che rappresenti interessi non umani.
Un progetto a terrazze, simile al milanese Bosco Verticale, ma più efficace nel creare micro-habitat con piante ad hoc e sistemi di raccolta dell’acqua piovana che servono sia per irrigare che per mantenere in salute gli ambienti acquatici.
Ecco che cosa significa non cedere al greenwashing: mettere insieme esperti e professionisti di diverse discipline che hanno voglia di confrontarsi con altri professionisti.