Come un vecchio videogioco ci dice qualcosa del mercato digitale (e del presente alla Black Mirror)

29 Gennaio 2023
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Il vecchio videogioco Lemmings uscì nel 1991 e per me, videogiocatore in erba, fu una rivelazione.

Puzzle game distribuito tra gli altri su Commodore Amiga, Atari ST e Super Nintendo, consisteva nel guidare un gruppo di creature chiamate lemmings attraverso una serie di livelli sempre più complessi, superando ostacoli e salvando il maggior numero possibile di graziose creaturine.

Il gioco prendeva il via dal mito popolare, poi sfatato dall’etologia, che considerava questa razza di roditori norvegesi come scemi, disposti a gettarsi in un burrone solo per seguire il gruppo dei propri simili.

I metodi con cui nel gioco il mio io 11enne salvava a roditori erano i più creativi: si potevano creare lemmings costruttori, capaci di fare scale e altre meraviglie, lemmings minatori, lemmings artificieri che a volte si immolavano pur di salvare i propri simili. Gran parte del fascino stava nei modi ingegnosi con cui potevi trasformare un disastro annunciato in un salvataggio trionfale.

Il sotto-testo, nemmeno troppo nascosto, del gioco era un invito all’individualità, un inno al libero pensiero, un memento mori sui rischi del seguire i pifferai magici (in questo caso gli istinti) senza attivare cervello e spirito di sopravvivenza.

La considerazione che accomuna i miei ricordi del gioco e i suoi creatori è che la natura è inerziale, e che noi, come esseri umani, siamo natura. La nostra tendenza innata è quella di seguire il flusso, non vi fosse altro motivo se non quello per il quale, banalmente, la natura odia l’inefficienza; i fiumi infatti scorrono da monte a valle e iniziare un movimento richiede più forza del sostenerlo una volta avviato.

E’ ormai dal 2020 che la mia mente torna sempre più a quel gioco: osservare la trasformazione dello scenario digitale accelerata dalla pandemia ha un che di distopico: interfacce sempre più evolute rendono il rapporto tra essere umano e nuovi media sempre più intenso, sempre più simbiotico, sempre più (e su questo dovremo poi tornare) istantaneo nel relazionare segni e significati: una relazione, se non meditata, certamente pericolosa.

Una rilettura AI di Lemmings

Non è solo questione di dopamina rilasciata da like, condivisioni e numeri: sembra, ma la cautela è d’obbligo, qualcosa di più profondo. Pifferai magici spuntano da ogni dove, capitanati da un Elon Musk che ha cavalcato le orde di piccoli investitori retail con un cellulare in mano, spingendoli e trascinandoli come lemmings al fine di manipolare il mercato e conquistare ricche plusvalenze. 

Ma il buon Elon è uno tra i molti: TikTok brulica di santoni di ogni genere, su ogni questione, peggio del peggior Facebook dei tempi d’oro.

Le bolle finanziarie e i meccanismi di propagazione dei segni (dei meme, dei balletti su TikTok, penso per esempio alla forza della trasformazione sonora del balletto di Mercoledì Addams, che ha occupato la memoria a breve termine di intere fasce di popolazione) sembrano proprio seguire questi schemi. Quando un segno diventa abbastanza “pesante” e riconosciuto, come per effetto di una strana forza di gravità, porta le persone a seguirlo, nemmeno fossimo ripetitori passivi di migliaia di simboli, a volte in competizione tra loro, e a volte trasformati e rielaborati per caso o volontà di qualcuno o qualcosa.

Tanto che la metafora innescata dal videogioco può essere estesa senza rompersi: in un mondo inerziale c’è comunque sempre una minoranza più o meno numerosa di esserini che si fanno metaforicamente esplodere, cioè che rischiano e perdono, che si inventano strane soluzioni, o che, con il duro lavoro, cambiano almeno un piccolo pezzo di mondo: nel nostro contesto, che imparano a manipolare i segni e i sensi, a volte solo per millesimo di secondo.

Permane una grande differenza rispetto ai vecchi totem dei media analogici e generalisti, che abbiamo criticato in passato, con forza, e che oggi si vedono sorpassati nella creazione quotidiana di pifferai magaci attira pubblico: costretti a inseguire le sensation tematiche o fisiche del momento innescate dal digital.

Le avvertenze, ad ogni modo, sono diverse: come cittadino, per esempio, credo che certi freni che l’Unione Europea sta cercando di attivare ai mercati digitali non siano necessariamente negativi; come professionista cerco di ricordare sempre che dietro ai numeri dei KPI di un e-commerce ci sono persone che scelgono di spendere i propri risparmi per affermare una sorta di possibile identità, anche nell’era più densa di simboli, popolata e meno analfabeta della storia (perlomeno sulla carta e guardando i dati a livello mondiale).

Forse la maturità mi rende più riflessivo, ma resto fermamente convinto che la frenesia dei tempi richieda la necessità di riflessioni profonde: quelle aliene rispetto ai mercati digitali principali (discorso a parte merita YouTube: la crescita di fenomeni di approfondimento anche di lunga durata per nicchie di persone è qualcosa da valutare nel bilancio complessivo).

E queste riflessioni riguarderanno sia le tecnologie abilitanti che gli impatti sociali, individuali e antropologici delle stesse.

C’è tantissimo lavoro da fare. Con il consueto avviso di stare attenti ai precipizi, individualmente o all’interno di un gruppo/community: gli insegnamenti di Lemmings sono ancora, e a mio avviso oggi molto più di ieri, validi e importanti.

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