Curon è la prima serie tv soprannaturale tutta italiana di Netflix e in tanti speravamo fosse all’altezza della pubblicità che ha ricevuto. Invece NCS. Non. Ci. Siamo.
Si erano sprecati addirittura i paragoni con la fortunata Dark, ma Curon, con la collega tedesca, ha in comune solo qualche atmosfera montana e l’uso massiccio della lingua della Merkel.
La smorfia altoatesina
Ambientata a Curon Venosta, in provincia di Bolzano, un piccolo comune in cui si trova il lago artificiale di Resia, con il conseguente paesetto sommerso, la produzione racconta di un paesino cupo, con personaggi cupi, in cui succedono fatti sovrannaturali.
Ho visto le prime tre puntate a fatica, cercando di districarmi tra dialoghi deboli e recitazioni piallate. Sembra di trovarsi di fronte a performance da teatro di attori eternamente corrucciati, ma privi di motivo per esserlo. Se doveva far paura, Curon di certo non ci riesce a meno che tu non abbia sette anni. Forse sono le scelte di regia, forse è la sceneggiatura con troppi buchi e passaggi veloci, ma il senso di suspense dei primi minuti (buonini) si disperde in inutili espressioni facciali forzate dei protagonisti.
Non basta far riecheggiare il terrore del passato, puntare la camera su quelle luci tetre, non basta questo a voler raggiungere una suspense credibile.
La trama di Curon
La protagonista della serie è Anna Reina, una madre di due gemelli che, a caso, torna a Curon, dove è nata. Sappiamo fin da subito che da bambina ha assistito all’omicidio della madre, a quanto pare di un suo doppelganger. Eccolo il succo di Curon, dal lago emergono i “doppi” cattivi delle persone, che compiono azioni orribili. In noi c’è un lupo buono e uno cattivo, dice la professoressa in una scena in classe, sta a noi scegliere quale nutrire. È l’unica frase con un minimo di senso in tutto quel che ho visto.
Quindi: fuggiti da Milano e da un padre di cui non sappiamo molto, madre e figli approdano nel vecchio hotel scassato del nonno Thomas, un eremita incattivito dagli anni che non li vuole tra le scatole, si presuppone per il loro bene. Il nonno li caccia di casa ma poi li va a ripescare al pub, durante uno dei “soliti black out” che ci sono in paese (anche questi dovrebbero intimorire, invece niente).
Completamente a caso invece dalla mattina dopo il loro arrivo, invece di andarsene, i figli milanesi ((l’ottima Margherita Murchio e il troppo carino Federico russo) ovvero Mauro e Daria, sono già invischiati in trame adolescenziali. sono già iscritti alla scuola del paese e iniziano la loro nuova vita controvoglia. Chiaramente i compagni montanari sono tutti cattivelli e subdoli, ma i due gemellini sono speciali e fanno squadra subito. La madre, senza salutare nessuno, sparisce. I gemelli si mettono a cercarla nei monti e il nonno va a sua volta a cercare loro per difenderli dalla doppia della mamma (quella che aveva ucciso la nonna). Yaaaahwnnn.
I personaggi sono tutti tristi e vivono vite tristi, in un paese triste addobbato di croci e cerini. Perché? Lo dice il nonno in una battuta enfatizzata nel modo sbagliato: «per tenere lontane le ombre».
Mah.
Curon è una serie tv per chi non conosce le serie tv
Curon viene presentata in tutti i paesi in cui Netflix è presente, ovvero ben 190 stati. A qualcuno piacerà, non c’è dubbio, ma è un po’ come La casa di carta: una serie che non piace agli amanti delle serie tv. Una serie per chi non è abituato a guardare le serie.
Dopo la prima puntata hai già la certezza che sia un pacco ma continui ad andare oltre giusto per vedere se magari succede qualcosa, invece niente. I dialoghi sono sempre telefonati e il ritmo si perde. Brilla solo la giovane Murchio in un cast sottotono e omologato. Sembrano tutti lo stesso personaggio.
Sul sovrannaturale noi non siamo un granché dai tempi di Dario Argento. Ci vengono bene le serie tv a tema criminale: Romanzo Criminale, Suburra, Gomorra. C’è venuta benissimo Il Cacciatore, la serie Rai con Francesco Montanari, ma Curon proprio non va giù.
Se mai l’avete messa in lista o tra i preferiti provate pure a darle una chance, ma non dite che non ve l’avevamo detto.