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Non siate tirchi! È il momento di concepire sculture giganti

10 Settembre 2020
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Mi sono imbattuta in Stefano Ogliari Badessi nel modo più millennial che ci sia: su Facebook. Si tratta di un artista cremasco che ha girato il mondo e continua a farlo, Covid-19 permettendo, con le sue opere giganti trasportate in pacchi poco più grandi di una valigia.

 

Mi ha incuriosito il suo approccio all’arte e alla vita, così l’ho contattato per un’intervista alla quale è stato immediatamente disponibile, aprendosi con solarità e gentilezza.

 

Come mai hai scelto di realizzare opere che, seppure di dimensioni considerevoli, possano essere facilmente trasportabili?

Mi piace pensare in grande, mi piace sognare e inseguire i miei sogni anche se devo arrampicarmi sulla luna, finché non ci arrivo tiro dritto.

Ho fatto installazioni e sculture di tutte le dimensioni, anche piccolissime che stanno su una mano, ma quando sono giganti il pubblico è ovviamente soggetto a emozioni più forti perché viene catapultato in un mondo che non si sarebbe mai aspettato. A livello pratico e tecnico vuol dire costruire e muovere scenografie in cui sono coinvolte molte persone che ci lavorano utilizzando tanti materiali, questo però va in contrasto con la mia voglia di viaggiare, di muovermi e di essere libero, quindi ho dovuto rivoluzionare le mie logiche e il mio stesso approccio all’idea di arte iniziando a pensare a un’arte che possa essere anche nomade come me, magari costruita con materiali più poveri ma libera.

Inoltre trainare sculture giganti in bicicletta o ripiegare installazioni gonfiabili dentro una valigia vuol dire potenzialmente raggiungere qualsiasi angolo del mondo e arrivare a chiunque.

 

 

Come mai le tue opere sono così grandi?

Mi piace pensare che molto di ciò che creo venga dal mondo dei sogni, al quale mi ispiro e dal quale estrapolo quello che riesco ad afferrare. Sono grandi, complesse e apparentemente senza logica, per la radice onirica. Amo vedere il pubblico che si immerge in qualcosa di magico e amo stimolare i sensi dello spettatore anche se a volte non se ne accorge razionalmente, in ogni caso se ne accorge il suo inconscio.

Fare l’artista è comunque un lavoro, quindi – come tutti i lavori – più ti impegni, più ci metti passione, e più i risultati prendono forma.

Se devo essere sincero io le farei ancora più grandi, se potessi: a me sembrano quasi piccole!

 

Che rapporto hai con la natura e l’ambiente (in senso lato, quindi anche urbano)?

Con la natura ho un rapporto molto stretto, sono cresciuto in provincia, in un quartiere periferico – per fortuna. Giocavo nei campi, nei fossi e sugli alberi e questo è stato un imprinting. Negli anni il rapporto si è fatto sempre più stretto e profondo, mi sembra di diventare più selvatico di giorno in giorno. Ho vissuto a Milano, ho vissuto a Shanghai che è una delle città più popolose del mondo, e non mi spiego come io abbia fatto a stare senza orto e senza animali attorno.

Prima vedevo semplicemente una bella pianta o un paesaggio, ora inizio a entrare in sintonia con le sue energie più profonde, osservo e comprendo anche ad altri livelli. Niente che mi sia inventato dal niente, semplicemente sono diventato più consapevole del pianeta sul quale viviamo e che tutti dovremmo rispettare un po’ di più.

 

 

Come mai sei andato in Cina? Cosa hai fatto e perché sei ritornato?

È stata una scommessa. Volevo andare via come tanti altri perchè ero stufo di sentire sempre i soliti discorsi, però volevo andare in un posto che non conoscevo e che fosse lontano dalla mia immaginazione. L’America per via dei film la conosciamo in ogni suo angolo e dettaglio, l’Australia mi sembrava troppo “facile” anche se bellissima, mentre Berlino e Londra troppo vicine a casa. Quindi ho scommesso su un posto di cui non sapevo assolutamente niente, in forte crescita economica (e di conseguenza artistica) e mi ci sono buttato. Pensavo di starci qualche mese ma sono diventati due anni.

Ho vissuto per un po’ in un ostello e dopo in una tipica casa cinese tutta sgarrupata per concludere la mia esperienza in una residenza d’artista a cinque stelle, selezionato dalla Swatch per sei mesi allo Swatch Art Peace Hotel: un posto fantastico dove convivevo con altri 20 artisti provenienti da tutto il mondo, ognuno con la sua stanza e il suo studio in quella bolla perfetta per creare arte.

Due anni belli e intensi che mi sono sembrati dieci, il tempo vola a Shanghai! Ma a un certo punto non riuscivo più a reggere la lontananza dalla natura, i miseri parchi cittadini non mi mettevano più in pace.

 

Cosa pensi del panorama artistico italiano contemporaneo e di quello mondiale?

Domanda scottante! Odio il sistema dell’arte soprattutto quello italiano e ancor di più le gallerie (non tutte, per carità, ma molte sì) dove l’unica via per lavorare è quella di leccare culi per scalare una fantomatica piramide sociale e artistica. A monte c’è un sistema vecchio e privo di investimenti, se nessuno ci crede non vedo come il sistema possa crescere e scrollarsi gli antichi fasti della nostra importantissima storia dell’arte. È giusto rispettare la tradizione e impararla, ma noi tendiamo a impantanarci dentro fino a quando anche la creatività rimane anchilosata.

Eppure ci sono moltissime realtà fantastiche che devono trovare ogni giorno la maniera per sopravvivere: piccole biennali di grande spessore, fondazioni storiche, musei e parchi, collezionisti privati, artisti e creativi meravigliosi che devono autofinanziarsi per potere continuare a diffondere e immettere nuova bellezza nel nostro Paese.

Lasciamo perdere…

 

Sì, lasciamo perdere: adesso ti porto un po’ nel mio territorio. Quando ti contattai per l’intervista, dicesti che sessualità e arte spesso sono lasciate ai margini: ti va di spiegarmi cosa intendevi?

La sessualità credo che sia emarginata per un problema di tabù mentre l’arte per un problema di ignoranza, ma fondamentalmente sono lo stesso problema. Si pensa che entrambe siano due cose superflue.

La sessualità è una forza creativa che sta alla base di noi stessi e andrebbe coltivata tanto quanto coltiviamo la nostra mente. Non è solo una questione di organi riproduttivi ma molto di più, giusto?! La creatività e l’arte sono una forma di espansione e di crescita del pensiero e del sentire e non capisco come le si possa pensare limitate a un semplice oggetto, quadro o scultura che sia.

Sembra quasi di parlare della stessa cosa, no?! Due elementi troppo poco considerati, mentre invece dal mio punto di vista sono due pilastri portanti sia per il singolo individuo che per una società migliore.

 

Che progetti hai per il futuro e quali sono le tue “previsioni” circa arte, cambiamenti climatici e il modo in cui questi si influenzeranno fra loro e influenzeranno luoghi e persone da qui a 10 anni?

Ho un paio di progetti a cui tengo molto per il futuro prossimo. Una mostra personale a dicembre a Como alla fondazione Miniartextil, che festeggia i suoi 30 anni di cultura e supporto all’arte, mentre a fine ottobre terrò un workshop presso il Peggy Guggenheim Collection di Venezia in collaborazione con Swatch. Durante il laboratorio ragioneremo appunto sui cambiamenti climatici e nuovi approcci artistici inglobando anche temi sul rispetto dell’acqua e l’uso di materiali di riciclo. Cosa salterà fuori al momento non lo so ancora, confido in un ottimo scambio di idee con i partecipanti del workshop che si trasformerà in un’installazione che realizzeremo insieme.

Pur non essendo un pessimista per natura io preferisco stare pronto al peggio, se poi mi sbaglierò sono pronto a festeggiare il mio errore. Credo che siamo alla fine di un’era che porterà dei grossi cambiamenti e non so se mio nipote potrà mai giocare nei fossi e nei boschi come facevo io. Comunque nel mio piccolo farò del mio meglio per preservare e onorare questo pianeta finchè potrò. Non sarò io con le mie sculture a salvare il mondo ma ogni piccolo gesto è importante e quindi faccio in modo che ciò che creo abbia sempre un basso impatto sull’ambiente. Il mio gesto più rivoluzionario è piantare alberi, per esempio la mostra di Como verrà compensata con circa 200 nuovi alberi in Alta Badia. Ripeto, io non salverò il mondo ma quantomeno cerco di onorarlo come si merita.

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