Perché la cancel culture finirà con il cancellare sé stessa
Forse non è vero niente, forse i millennial stanno vivendo – senza saperlo – una nuova puntata di Black Mirror.
Nemmeno lo sceneggiatore più fantasioso avrebbe potuto concepire il blocco del canale YouTube del croato Antonio Radic, in arte Agadmator, lo scacchista più famoso al mondo (oltre un milione di iscritti) perché l’intelligenza artificiale che sovraintende al tutto non ha gradito l’espressione «il bianco schiaccia il nero».
Di questo passo qualcuno proporrà di cambiare i colori dei pezzi degli scacchi, magari puntando su un rassicurante arcobaleno. Si pensava di aver toccato il fondo dopo la censura applicata dalla Disney ad alcuni sui film storici. E invece tra politicamente corretto, tendenza woke e cancel culture, ogni giorno la contabilità di questo revisionismo va costantemente aggiornata.
La cultura messa al bando dalla cancel culture
Statue abbattute, richieste di mettere al bando l’Odissea, persino un gruppo Facebook dedicato a Lino Banfi oscurato perché inciterebbe all’odio. Tutta colpa della sua celebre filastrocca «benvenuti a sti fr…» recitata con brio e disincanto nel film “Fracchia La Belva Umana”, considerata discriminatoria nei confronti degli omossessuali.
Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Tutto merito del politicamente corretto, nato magari per giusti motivi, ma presto degenerato in uno strumento che conferma l’attualità di uno dei più celebri aforismi di Karl Marx: la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.
Cristoforo Colombo, Indro Montanelli, Woody Allen: questa furia iconoclasta non risparmia niente e nessuno, con uno sguardo e una prospettiva che hanno sempre e soltanto un’unica direzione e non hanno la minima idea di che cosa significhi il beneficio del dubbio.
Gli intellettuali contro il conformismo ideologico
«Gli è tutto sbagliato l’è tutto da rifare?», come amava ripetere il grandissimo ciclista Gino Bartali? Per fortuna no: merito di 150 intellettuali, che lo scorso luglio hanno pubblicato su Harper’s Magazine una lettera aperta sui pericoli di questo vero e proprio conformismo ideologico. Tra i firmatari, J.K. Rowling, Salman Rushdie, Margaret Atwood, Francis Fukuyama e Wynton Marsalis: un elenco di grandi personalità, alle quali a fine dicembre si è aggiunto il musicista australiano Nick Cave, che ha bollato il politicamente corretto come la più infelice religione del mondo. Congratulazione per il suo nuovo disco, tra parentesi.
Sia chiaro: ogni discriminazione va condannata senza se e senza ma, non seguendo però i trend del momento o accanendosi soltanto contro i feticci ideologici di chi non la pensi come noi. Altrimenti si cade nel ridicolo, ma non sempre il ridicolo fa ridere. A volte fa davvero paura.
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