Il recentissimo libro La ragazza del convenience store di Sayaka Murata (E/O), ha per protagonista Furukura Keiko, una strana ragazza. La suddetta, da bambina, si è giocata qualunque chance di essere considerata normale proponendo di fare uno spiedino con un uccellino morto trovato al parchetto.
Dopo di ciò, l’infanzia della protagonista di La ragazza del convenience store è stata funestata da svariati episodi imbarazzanti, come quando ha calato le mutande e la gonna alla maestra per metterla a tacere durante un attacco isterico (della maestra, mica di Furukura!).
Una volta capito che, no, così non si fa, la poveretta ha ripiegato su un elegante mutismo, su un riserbo inscalfibile che le ha permesso di arrivare ai diciott’anni indenne.
Se per noi Millennial avere diritto alla patente è stato solo un pretesto per organizzare serate imbarazzanti a base di gin lemon e indossare abiti che manco nei peggiori Sweet Sixteen americani, per il personaggio principale di La ragazza del convenience store, che rimane pur sempre una giapponese, ciò ha significato solo una cosa: un bel lavoro part-time in un kombini, ovvero il convenience store del titolo.
Avreste mai detto che il sogno di una ragazza nel fiore degli anni potesse essere lavorare in un supermercato aperto h24 per sette giorni alla settimana su sette, roba insomma da far concorrenza persino ad Amazon Prime? Eppure la nostra eroina non solo è a suo agio come un pesce nell’acqua ma addirittura diventa la reginetta dell’offerta speciale, la maga del cartellino promozionale, la soprano dell’Irasshaimase!
Non fraintendetemi, Furukura sa bene che un lavoro del genere non è esattamente la realizzazione di un sogno di carriera, eppure è la sua strada, è la via che le ha permesso di trovare un posto nella società.
Che dire? Invidio la protagonista di La ragazza del convenience store, e sono sicura che la invidiate anche voi, soprattutto perché quando mai siamo riusciti a trovare il nostro posto nella società? Ma soprattutto, quando mai è accaduto che un contratto di lavoro part-time riuscisse a durare ben 18 anni?
Ciò che dell’esperienza di Furukura non invidio è che, nonostante lei si faccia un mazzo così, tutti la prendano per fallita anche perché, udite udite, non è sposata.
Se vogliamo fidarci dello spaccato sociologico fornito dall’autrice (che concorre per diventare la nuova Banana Yoshimoto), per le donne giapponesi il matrimonio è un vero e proprio problema. Se non ti sposi, infatti, non sei una persona raccomandabile.
La cosa incredibile è che se ti sposi e poi fai dei figli devi lasciare il lavoro. Quindi se lavori, provvedi a te stessa e sei indipendente (ma single) non va bene, se ti sposi e ti fai mantenere sì. Parliamone…
Anche qui la nostra protagonista di La ragazza del convenience store trova una soluzione geniale: sposa Shiraha, l’uomo più sciroccato e nullafacente del mondo. Cioè, di tutto il genere maschile becca esattamente l’unico maschio nipponico stranamente sordo ai richiami del dovere e del tutto lontano dal pericolo di karoshi (la triste morte per eccesso di lavoro).
Risultato: Furukura deve sbattersi il triplo e tutti continuano a percularla peggio di prima, senza contare che la coppia convive nell’angusto monolocale della sposa, e che il novello marito decide pertanto di stabilirsi dentro la vasca da bagno.
So che il quadro prospettato potrebbe non sembrarvi roseo eppure questo romanzo ci mostra una protagonista che, per quanto disadattata socialmente, trova la forza per affermare se stessa e le proprie scelte, anche se implicano il rimanere commessa part-time a vita.
Nessun vero lieto fine di quelli classici per La ragazza del convenience store, insomma. Però potremmo soprannominare questo libro Piccola Bibbia nipponica alla sopravvivenza, perché in fin dei conti illustra un considerevole armamentario di strategie per corazzarsi dalle pressioni del mondo, che male non fa. Quindi vi dico “leggetelo” e meditate, non foss’altro che per vendicare la nostra Furukura e tutti gli strambi (Millennial e non) di questo universo mondo.
Ps. I nomi e i cognomi di questo articolo potrebbero essere stati inavvertitamente invertiti a causa dell’arcano mistero che coinvolge i cognomi giapponesi e la nostra sostanziale incapacità di distinguerli dai nomi, nessun giapponese se ne abbia a male per favore.
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