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La serie tv Messiah e la grande domanda: abbiamo ancora bisogno di salvatori?

22 Gennaio 2020
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La serie netflix Messiah è un curioso caso di tentativo introspettivo per Millennial scettici. Infatti indaga il rapporto tra verità e menzogna al tempo delle fake news e della continua connessione social.

Se vedi una cosa con i tuoi occhi è davvero reale?

Trama

Tutto ha inizio in Siria, quando appare un misterioso predicatore bruno coi capelli lunghi che si chiama Al-Masih (Mehdi Dehbi). Fioccano le bombe ma lui imperterrito continua a predicare senza neanche un graffio. Così facendo, raduna attorno a sé alcuni giovani e poi molti uomini e li conduce in una specie di diaspora fino ai confini di Israele.

Lì lo imprigionano, mentre gli uomini che lo hanno seguito rimangono bloccati al confine disidratati e stremati. Al-Masih viene interrogato da Aviram (Tomer Sisley), un agente israeliano specializzato nella tortura dei prigionieri.

Nel frattempo negli Stati Uniti, l’agente della CIA Eva Geller (Michelle Monaghan) indaga sullo strano predicatore mentre in New Mexico la famiglia del pastore Igueiro affronta una crisi di fede.

Poi accade il miracolo: Al-Masih evade dalla prigione e riappare sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme. Inizia a predicare e, quando uno sparo colpisce un bambino, lui lo guarisce per poi sparire e riapparire in New Mexico.

Fin qui la serie è un remake moderno della vita di Gesù, o quantomeno si avvicina molto. Quindi lo spettatore medio ha due reazioni preponderanti: fascino perché sembra proprio una specie di novello Messia e scetticismo, perché è troppo bello (o troppo brutto) per essere vero.

A rappresentare lo scetticismo c’è Eva, il cui unico credo è la CIA, come dice lei stessa.

Lo spettatore è guidato verso miracoli sempre più grandi e quindi propenso ad ammettere che il Messia potrebbe non essere un terrorista, un anarchico o un mercenario al soldo di qualcuno (russi, Al-Quaeda, terroristi vari). Poi però iniziano a svelarsi il suo passato, grazie al ritrovamento di suo fratello, e lì qualsiasi certezza vacilla.

Cosa ci è piaciuto e cosa no

Tra gli elementi positivi di Messiah c’è sicuramente l’estrema empatia che si stabilisce  con i personaggi: tutti imperfetti e pure antipatici certe volte.

Al-Masih è l’unico imperturbabile, mentre il pastore Igueriro, che poi lo “adotta” quando arriva negli USA, è il tipico esempio di uomo di fede stanco e abbattuto.

Che dire poi di Eva, l’agente integerrima con una vita privata disastrosa e un vuoto incolmabile a causa della perdita del marito? Lei è il soggetto perfetto da “convertire” eppure tifiamo per tutta la serie affinché ciò non accada e trionfi il suo razionalismo.

C’è poi la figlia del pastore, adolescente inquieta e desiderosa di fuga dal paesello in cui è confinata.

Tutta la serie si gioca inoltre su un parallelo tra Stati Uniti e Medio Oriente, nel quale si evidenzia come il fanatismo possa facilmente prendere il sopravvento.

Tuttavia c’è forse troppa carna al fuoco: il terrorismo, la manipolazione, il desiderio di credere nella salvezza e lo scetticismo di chi ha subito violenza e di chi l’ha anche praticata.

Si vorrebbe arrivare a una soluzione, riuscire a schierarsi e invece tutto rimane nebuloso, forse in vista della seconda stagione.

Dunque finale aperto per Messiah e… attesa di una presunta salvezza che probabilmente non arriverà.

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