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P come potere, P come Pornhub: Money Shot racconta la storia del colosso del porno

1 Aprile 2023
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Da quando si parla di Pornhub su Netflix? Da quando Money Shot ha fatto il suo ingresso in piattaforma. Uscito il 15 marzo 2023 il nuovo documentario ha un grande obiettivo: raccontare i successi e i lati più oscuri del noto sito hot attraverso interviste inedite a professionisti del settore, compresi i grandi scandali che lo hanno colpito.

È inutile mentire: tutto il mondo conosce Pornhub e tutti, almeno una volta, ci siamo finiti dentro. Non è l’unico sito di contenuti per adulti, ovviamente, ma resta senza ombra di dubbio uno dei più cliccati e mainstream al mondo. Su Pornhub compaiono miliardi di video ogni giorno e il successo è ogni anno incredibile. A dirlo non siamo noi, sono gli insights del sito stesso.

Money Shot racconta l’ascesa di Pornhub e lo fa mettendo in primo piano chi in quel campo ci lavora quotidianamente: attori e attrici in primis, ma anche dipendenti, ex dipendenti e dirigenti d’azienda. Si parla di lavoro, ma si parla anche di vita e di soldi, perno di quasi tutta la faccenda.

Il documentario targato Netflix pone l’accento anche sul lato più oscuro della piattaforma, quello più criticato e più discusso degli ultimi tempi: il caricamento di materiale pedopornografico, i video di stupri e di sfruttamento di minori. Una denuncia sociale inaudita che ha messo Pornhub e chiunque fosse al suo interno sul rogo e ha appiccato il fuoco… letteralmente (vi tocca guardarlo per capire la battuta, ndr).

Se fino a poche settimane fa Pornhub apparteneva a MindGeek, oggi il colosso del porno è di proprietà della Ethical Capital Partners, al cui vertice c’è l’imprenditore italocanadese della cannabis Rocco Meliambro. Tale scelta è figlia proprio dello scandalo che Money Shot racconta e che ha macchiato l’anima di Pornhub per sempre, anche se non si direbbe così.

Money Shot: non solo contenuti porno, ma persone in carne e ossa, scandali e polemiche

Grazie a Money Shot il pubblico ha la possibilità di scoprire che cosa si cela realmente dietro l’industria del porno. Parlare di Pornhub significa parlare di successo, di soldi e di miliardi di click al giorno, ma significa anche parlare di persone, le stesse senza le quali il porno non esisterebbe.

Chi con il porno ci lavora compie una specifica scelta di vita: mettersi “alla mercè” del web con consapevolezza e con la voglia di coinvolgere più persone possibili ai fini (anche) di un guadagno maggiore. Le interviste rilasciate in Money Shot parlano chiaro: lavorare nel porno significa fatturare, e anche molto. Complici di tali cifre anche le nuove piattaforme virtuali (ad abbonamento) come Only Fans e Modelhub, rivelatesi fondamentali soprattutto in tempi di lockdown, anche se oggi OF è diventato fonte di reddito per centinaia di migliaia di ragazze e di ragazzi.

I porno auto-prodotti dimostrano come il settore dipenda dagli attori, che possono decidere che cosa vogliono e cosa non vogliono. Senza di noi, non ci sarebbe porno.

Che cosa, dunque, può fare crollare un impero? Lo scandalo, ovviamente, e Pornhub di scandali se ne intende parecchio. Dietro video amatoriali, lubrificanti e decine di categorie erotiche, si nasconde una verità scomoda che ha nome illegalità. Sebbene Pornhub negli ultimi dieci anni si sia evoluto enormemente dal punto di vista economico e di distribuzione, la questione dell’identità verificata obbligatoria (simile alla spunta blu di Instagram, per capirci) è rimasta al centro delle richieste da parte di attori e attrici del settore per moltissimo tempo, di fatto senza mai essere considerata un’esigenza urgente.

Pornhub

Si chiedeva maggiore sicurezza, maggiori controlli da parte dei moderatori (in netta minoranza rispetto alla quantità di video da analizzare ogni giorno) e una maggiore e più generale tutela nei confronti dei/delle sex worker. Ci è voluto uno scandalo mondiale per smuovere gli animi, ma manco troppo. Ciò che ha investito Pornhub ha profumo di protesta, di odio e di shitstorm bella grossa: peccato che a subirne le maggiori conseguenze siano state le persone che, di fatto, non c’entravano nulla.

Favoreggiamento dello sfruttamento, stupro, abuso e aggressione di uomini, donne e bambini: le condanne piombate come fulmini addosso a Pornhub

Il sito, l’azienda, i dipendenti, i dirigenti e i sex perfomer sono stati accusati di essere complici di grandi scandali, di essere a conoscenza della situazione e di non fare assolutamente nulla per fermare il tutto: perché? Business, direbbe Tina Cipollari.

Il buco nero di internet sa essere davvero lugubre a volte: online circolano video terrificanti, gli stessi che sono finiti su Pornhub senza passare dal check. Le perversioni portano a una richiesta e se la richiesta è esaudita, arriva una view in più e una view in più, quando si tratta di click, equivale a un maggiore tornaconto economico. È grave? Decisamente. La piattaforma sapeva e ha comunque fatto “spallucce”? A quanto pare sì, e la cosa non è andata giù a moltissime persone.

Complice di tale scenario dark anche una SEO studiata ad hoc, una targetizzazione perfetta e dei metadati indelebili: Pornhub può anche cancellare un video incriminato, ma il suo database non dimentica tutto ciò che a esso è connesso.

Poteva andare peggio di così? Sì e la risposta è FOSTA-SESTA

Nata con l’obiettivo di frenare il traffico sessuale online, la legge FOSTA-SESTA è stata approvata dall’ex Presidente Dondal Trump nel 2018. Sebbene l’intento sia da considerare positivo, in realtà la legge in questione si è dimostrata molto dura nei confronti di tutte le persone che con la pornografia ci lavorano. Insomma, ancora una volta, a pagarne il prezzo più alto sono i sex e le sex worker.

Il FOSTA-SESTA ha significato per molte piattaforme e per molte applicazioni la censura, elemento deleterio per chi attraverso quei siti e quelle piattaforme ci lavora h24 per guadagnarsi da vivere.

Dall’online quotidiano, tutti i professionisti del settore si sono ritrovati a dovere tornare al lavoro offline che, come racconta anche Money Shot, spesso è meno sicuro di quello online. I dati parlano chiaro: più del 33% dei sex worker è tornato a subire violenze sul lavoro o a lavorare con “papponi”, mentre il 27% dei sex worker ha perso una grande, grandissima, quantità di soldi.

Seppure controverso e spesso soggetto a polemiche, Pornhub occupa tutti i primi posti della SERP di Google e non è un caso, voi che dite? Il dibattito resta comunque aperto e le controversie sono numerose, ma l’impero di Pornhub continua a resistere.

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