Bob Dylan Never Ending tour 2018: il menestrello del rock è davvero uno stronzo? Forse no. L’ho capito l’altra sera, guardandolo dal vivo al concerto di Mantova. Probabilmente il premio Nobel è un po’ un tipo come tanti: un gran timidone. Ma provate a chiederlo ai Beatles, quello che il signor Dylan ha da offrire, e non parlo di stupefacenti. Parlo di coerenza, a costo dell’antipatia.
L’altra sera, il suo concerto al Palabam di Mantova, nel contesto del Bob Dylan Never Ending Tour 2018, doveva iniziare alle nove e alle nove è iniziato. Già questo inquadra il personaggio (forse stronzo non è il termine più preciso, insomma). Ha cominciato a suonare quando più della metà degli spettatori erano fuori a fumare. Correndo, siamo entrati in quattromila nel suo privatissimo salotto.
Dio! Povero Bob, quanto non ti invidio, mi spiace disturbare la tua quiete. Aspetta, ma quale sei? Da quando suoni il contrabbasso?
Solo alla terza canzone sguscia via dallo sgabello del pianoforte e dall’alto del suo metro e settantuno ricorda a tutti che i piccoli uomini governano il mondo. Mano sull’anca per mantenere una posizione dignitosa e asta del microfono impugnata come sessant’anni fa. Non si sta mettendo in posa: sta tirando il fiato, in attesa che la sua band si prepari al pezzo successivo, senza avere nemmeno il coraggio di qualche idiozia interlocutoria, sul genere di: “HEEEY COME STAI MANTOVA?” Cosa che qualche povero ragazzino, trascinato dal padre ad idolatrare la Storia, forse si aspettava.
Che pezzente, disprezza il suo pubblico. In realtà, vuole che l’unica protagonista sul palco sia la musica, lui è solo uno dei suoi tanti strumenti. Non è un imbonitore di folle e vive un rapporto contraddittorio col successo che gli è piombato addosso. È una crisalide in continua evoluzione, le sue aspirazioni musicali sono sempre più autentiche e secondo me non lo fa per i soldi, ma per rendere grazie alla Musica. È un’espressione artistica impercettibile, una scossa elettrica che passa in fretta e quello che ti lascia a fine spettacolo è uno stato d’animo irrimediabilmente avvinghiato, strozzato, ribaltato da quel canto rauco e malinconico. Parla di sé, ma in fondo non vuole esser capito. Dunque biascica, ma non per la dentiera.
A settantasei anni claudica sul palco, si lancia in improvvisazioni, esprime ancora la sua gioia di vivere senza più indossare l’armonica, forse perché il peso di tutto quel ferro potrebbe incrinargli una spalla.
In realtà non si va a sentire Bob Dylan per ascoltare le canzoni di Bob Dylan. Si va a vedere Bob Dylan per raccontare ai propri figli di aver visto Bob Dylan. Vedere Bob Dylan è come avvistare nella radura un esemplare di lince iberica: rarissimo. È il quadro che Van Gogh non è mai riuscito a dipingere. È uno brivido che parte dal coccige. È il motivo per cui la carta assorbe l’acqua e il giallo e il blu mischiati diventano verde. Bob Dylan Never Ending tour 2018, tradotto: guardare ma non toccare, ascoltare ma non registrare, ammirare e non ricopiare.
In cinquant’anni di concerti, dichiarazioni e discusse non apparizioni pubbliche, gli sono solo cadute un po’ le palpebre e la pelle gli si è avvizzita, ma è rimasto se stesso. Non gliene frega niente se la gente lo trova insopportabile; anzi, tanto meglio, perché la musica che suona è solamente sua, e la deve condividere con noi solamente perché è Bob Dylan.
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