Borotalco, la canzone malinconica dove si incontrano indie e rap
Combina i due generi in voga negli ultimi anni, ma Borotalco di Noyz Narcos, Carl Brave e Franco 126 c’è riuscito, con un singolo pieno di paranoie, disperazione, amore e tanta, tanta Roma.
Borotalco di Noyz Narcos, Carl Brave e Franco 126 è la decima traccia di Enemy, disco di Noyz Narcos, uscito in aprile ed eletto (quasi all’unanimità) miglior disco del 2018, tra gli altri da Rolling Stone. Per Noyz Narcos è il quinto album, il primo dopo cinque anni di silenzio e, forse come ha annunciato lui stesso, l’ultimo.
Enemy suona distante da Verano Zombie (secondo album dell’artista) e da quel beat cattivo, ma Noyz racconta di averlo curato con la stessa precisione maniacale e di esserne totalmente soddisfatto.
È un album che accoglie i nuovi tempi, la nuova scena musicale, pur rimanendo fedele allo stile e ai temi di Noyz. Per questo, è pieno di featuring con cantanti e rapper che Noyz stima e che stanno cavalcando il successo in questo esatto momento.
La scelta è ricaduta infatti su artisti che avessero all’attivo almeno un album nell’ultimo anno. Tra Luché, Salmo, Achille Lauro, che possono non stupire, i nomi che saltano più all’occhio sono quelli di Carl Brave e Franco 126, sulla traccia appunto Borotalco. Cosa ci fanno due dei principini dell’indie assieme a un membro del Truceklan?
Borotalco testo è una canzone claustrofobica e piena di malinconia, alla Noyz, ma è anche un inno d’amore a Roma raccontato per immagini, in stile Carl e Franco. Ecco il testo:
La luna si specchia sul lungo Aniene
Vedo una nutria che danza per me
Stanotte le strade piene de gente, de subumani
Io me batto i substrati sapiente
Balla coi diavoli attorno al falò
‘Ste festicciole, Salò
Cento giornate in hangover
Polveri e fiches sul comò de ‘sta povera villa
Che ne sarà di quest’alcol che nuota nel corpo
Pari morto de sete
Scoli ‘n inferno parlando co’ ‘n prete
La luce blu di quel cesso nasconde le vene
Roma è ‘na camera a gas
Entro col pass dall’entrata sul retro
Scopri che ami il sapore del sangue
Se scopri che non sei fatto de vetro
Due per sessanta, la grande
Cerco la mia tra milioni di stanze
‘Sti alberghi anni settanta
Gonfia le pance ‘sta birra, lei mi fissa, mi sbirra
Come vuoi che mi gira? Tutto scazzato de prima mattina
Il mio passato ammassato in cantina dai miei
Tornassi indietro lo stesso farei
Resta con me su ‘sto core
Tevere biondo non muore così
Coltelli ficcati a fondo nel cuore
Chi vive sotto ‘sto cielo lo sa che vor di’
Io non penso tu possa capirmi
Sarà il buio a rapirmi stanotte
Vorrei solo schioccare le dita e sparire di botto
Noyz Narcos vive da più di tre anni a Milano e sente la mancanza della sua città natale, con quel rapporto di amore viscerale per una capitale, che in fondo, pur corrispondendo il suo amore, gli fa solo del male.
Di questo rapporto malato parla nelle prime barre di Borotalco testo dove Noyz usa termini come sangue, vene, cuore. Emerge anche tutto il dolore dei “coltelli ficcati a fondo nel cuore”, dovuto alla lontananza da Roma e alla distanza che separa il rapper dal passato.
La Roma che Noyz racconta è degradata, è quella di un lungo Aniene invaso da nutrie e di bagni con la luce blu, per evitare che i tossici di eroina si trovino le vene. Roma è “una camera a gas” e nonostante questo, Noyz la canta e la ama, come chi scopre “di amare il sapore del sangue”.
Noyz ribadisce ciò che ha sempre espresso col suo rap, sentimenti a tratti opprimenti, che si possono curare solo con alcool e droga e che, nove su dieci, non sono condivisi da chi gli sta intorno, tanto da voler solo “sparire di botto”.
Attacchi d’asma, attacchi d’ansia
Io che attacco il telefono in faccia
Tanto è solo un’altra nottataccia
Tanto è solo un altro voltafaccia
Attacchi d’asma, attacchi d’ansia
Io che attacco il telefono in faccia
Tanto è solo un’altra nottataccia
Tanto è solo un altro voltafaccia
Il concetto di un malessere che non si riesce a comunicare, e quindi esorcizzare, è ripreso anche nel ritornello, cantato da Franco 126, il cui succo è: porta pazienza, stringi i denti e supera l’ennesima crisi, è solo una (delle tante passate e tante future, ma per fortuna non tutte) serate di merda.
Conto i respiri, silenzio di tomba
Cammino sopra ‘sti tombini
Pe’ strada ‘n c’è ‘n’ombra, tutti spariti
In giro neanche turisti e spaccini
Una faccia da cazzo sorride
Sopra uno di quei manifesti sbiaditi
C’è un pazzo che sta su di giri
Dice che non sei romano se non sali quei tre scalini
I miei mobili sembrano sfingi
Siamo sotto ‘sto cielo di spilli
E non penso tu possa capirmi
Che qui in testa c’ho un coro di strilli
Questa notte non porta consiglio
No, non ha niente da dirmi
Per la testa mi saltano i grilli
Ricordi che scalciano dai ripostigli
Niente per cena, borbotta una caffettiera
Calpesto unghie di strega
Forse davvero tutto si sistema
In lontananza sento una sirena (nino nino)
Da queste parti si gela, Siberia
Mi squaglio come una statua di cera
Io che ho sempre fatto alla mia maniera
Non casco in piedi ma sempre di schiena
A volte mi sembra d’impazzire
E non penso che serva partire
Sogni d’oro non riesco a dormire
Fumo mentre aspetto le mattine
In silenzio ti guardo appassire
Braccia conserte, niente da dire
Chardonnay, Sauvignon da due lire
A volte vorrei solo schiocca’ le dita e sparire
Franco continua raccontando in Borotalco testo una serata di gelo a Roma. È tarda notte e la città si popola di una serie di personaggi bizzarri: pazzi che urlano, sirene, le facce sopra ai manifesti elettorali.
A far compagnia più di tutto sono le paranoie e i problemi “un coro di strilli” in testa, il rapper è talmente disilluso che nemmeno partire per cercare la felicità altrove sembra una soluzione.
Quindi continua a fumare aspettando l’alba, in preda ai suoi tormenti, guardando quello che gli sta intorno (anche una ragazza) appassire assieme al suo umore, desiderando ancora una volta, solo sparire.
Fuori il Calisto bevendo co’ ‘n cristo
I miei sul divano a vede’ Chi l’ha visto?
Lei vola per l’anno sabbatico a Bristol
Maghrebini sopra Ponte Sisto
Punkabbestia mi chiede du’ spicci
Non vuole i ramini, cammino su questi tombini
Squagliati, sorrido ma mostro i canini
La radio dà ancora Masini, fanculo
Scodinzola uno Shar Pei
Ossa di ruggine, i tuoi nei sui miei
Se mi dicessi partiamo, andiamo, credo che potrei
Il tuo amico batte cassa, non ce l’ho e basta
Il mio amico fuma i chili ma non è un rasta
Abbiamo la testa matta-ta-ta
Sto vedendo Gomorra “ra-ta-ta-ta”
Ragazzini sulle Chatenet
Pijo l’iPhone, tu mettimi Drake
Maglietta balloon, a Milano mi dicono che sono terun
Lei prepara la prova costume
Scendo sotto a buttare il pattume
Una crepa sul muro portante
Io la faccio sentire importante
Il mio amico che riposa in pace
A pregare non sono capace
Ai suoi piedi ossuti Versace
La narice sporca di vernice
Sono cresciuto con Willy a Bel-Air
E nella folla non voglio il parterre
Abbiamo messo la quinta di eh
La scena mia l’ho vista prima di te, eh
Le barre di Carl Brave continuano a raccontare una Roma notturna, ma meno tetra, solitaria e degradata di quella di Noyz e Franco. Qui ci sono luoghi centrali e affollati della movida romana, come Ponte Sisto, e c’è spazio per gli affetti, c’è lei, un amico, i genitori.
E anche se non corrispondono alle aspettative (lei che se ne va lontana, i genitori ritratti in una routine stanca), fanno almeno da argine allo sconfinare delle paranoie. L’amore serve a consolare, nel momento di vicinanza descritto con “i tuoi nei sui miei”.
Tornano poi gli elementi più familiari come Gomorra, le macchinette dei ragazzini, la musica di Drake, l’eterno dissidio tra Milano e Roma “mi dicono che son terun”. Gesti come buttare l’immondizia e la fidanzata che si mette a dieta, anche se si scontrano con la morte di un amico e l’uso di cocaina, danno comunque un senso di calma e appartenenza.
Tutte le contraddizioni permettono di individuare un ruolo, un’identità comune agli abitanti di Roma, a quelli che costituiscono la “scena” citata nell’ultima strofa da Carl Brave.
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