Sono stata al concerto di Gemitaiz e vi racconto perché non gli interessa la politica. Così dice

4 Dicembre 2018
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Qualche boutade politica, ok, ma poca roba, in realtà il rapper Gemitaiz vorrebbe solo farsi i fatti suoi. E un suo concerto è una figata

Sopravvivendo al freddo siberiano e alla coda infinita di ragazzini tra me e l’ingresso dell’Alcatraz di Milano, il 29 novembre ho sentito rappare dal vivo uno dei migliori della scena: Gemitaiz. Ma andiamo per ordine, Gemitaiz è attivo da più di dieci anni, i suoi dischi, i suoi singoli, i suoi live si sprecano e per me era già la seconda volta a un suo concerto.

Alla prima non conoscevo ancora alla perfezione le sue canzoni ma era estate, in un grande parco, la gente un po’ sdraiata, un po’ in piedi, birra come se piovesse e una performance incredibilmente coinvolgente. Ero rimasta conquistata, anche perché la prima volta che ascolti Gemitaiz e Madman rappare dal vivo Veleno 6, non te la scordi mai più.

Questa volta, nella seconda data milanese del Paradise Lost Tour, dopo il sold out del giorno prima, ci sono voluta andare con un occhio critico. Alla luce di tutte le polemiche e di tutta l’attenzione mediatica che si è scatenata attorno a Gemitaiz negli ultimi mesi. Galeotta fu quella story (rimasta su Instagram dieci minuti) dove Gemitaiz si è permesso di augurare il peggio a Matteo Salvini per il comportamento tenuto dal Ministro in merito al caso della nave Aquarius.

Da quel momento giornali, blog, follower, pure lo stesso Matteo Salvini non hanno dato un attimo di pace al rapper, eleggendolo a paladino dell’opposizione. Ma in realtà Gemitaiz, dice, vorrebbe solo farsi i fatti suoi.

Certo, sente la necessità di prendere una posizione, anche per il suo ruolo influente sui ragazzini che lo seguono, come artista e sui social, ma il suo non è un discorso strettamente politico. Come ha dichiarato lui stesso a Rolling Stone: «Non sono un italiano medio, non sono il trentenne classico senza una posizione. Ma questa storia non c’entra niente con la politica.

Non mi sono certo proposto come simbolo della cultura, ho la terza media. Ma questa è gente senza passione, povera di animo e di spirito. Come fai a non empatizzare con una donna incinta su una barca, con cinquanta gradi, ma che c’hai nel petto?».

Al centro delle polemiche Gemitaiz ci è finito anche per non aver preso una posizione, definitiva e immediata, contro gli attacchi sessisti fatti dai suoi fan a CRLN, la cantante che si è esibita prima di lui durante l’Indiegeno Fest ad agosto.

Ricapitolando: anti-Lega (per qualcuno è un pregio per altri un difetto), misogino (qui proprio non ci siamo), idolo di ragazzini totalmente diseducati. Con questi tre punti ben fissi in mente, che per quanto ne sapevo all’epoca del primo concerto non avevo potuto riscontrare, mi sono sistemata nel parterre dell’Alcatraz con un’amica e, birra in mano, abbiamo aspettato che il concerto iniziasse.

L’età media è bassa, da sottopalco fino a metà sala si accalcano ragazzini dai 14 ai 19, massimo 20 anni. Il che mi lascia un po’ stupita, soprattutto per un rapper attivo da un decennio. Scommetto tra me e me che se disgraziatamente Gemitaiz si mettesse a cantare Vmpsb (uscita nel 2013 nel mixtape Qvc 4) rimarrebbero tutti un po’ spiazzati. Però mi sbaglio, perché quando Gemitaiz, verso metà concerto, attacca con On the Corner (cover di Bassi Maestro, presente sempre in Qvc 4) tutti, ma proprio tutti, la cantano. ‘Sti pischelli, sono informati. E io che pensavo si sgolassero solo sulla trappata Rollin, che Gemitaiz ci regala in apertura per creare hype.

Chiacchierando con un gruppetto di ragazzi delle superiori viene fuori che il giorno prima qualcuno ha spruzzato dello spray al peperoncino durante il live, ma per fortuna la cosa non si ripete e l‘impressione sui ragazzi che ci circondano è positivaQualche coppietta di sedicenni (lui si gira verso di lei, felicissimo, e le dice: «Che bel regalo di compleanno amore mio»), qualche compagnia mista, coppie di amici, congreghe di ragazzoni casinari ma non troppo. Infatti quando (preparandomi psicologicamente alla peggior risposta) chiedo a un diciottenne davanti a me se può spostarsi un po’ per non ostruirmi la vista, lui non solo mi dice di sì senza battere ciglio, ma rimane di lato per tutto lo spettacolo, senza darmi mai fastidio.

Comunque ci sono anche le vecchie leve, nelle ultime file, per nulla pigiati (da questo si riconosce una certa esperienza), un po’ sparsi e con delle gran birre in mano, ecco i miei coetanei, diciamo dai 23 anni in su. Quando Gemitaiz dal palco urla: «Alzate le mani, quanti come me hanno trent’anni?» quelli che rispondono alla chiamata si possono contare con le dita. Gemitaiz è un po’ perplesso, di solito ce n’è qualcuno in più, ma non si abbatte: «Una cosa che mi piace sempre dire ai miei concerti è quanto mi faccia piacere vedere i ragazzi di 14 anni e quelli di 30 tutti uniti qui sotto al palco. È una cosa che mi piace tantissimo come state insieme».

Durante lo show lancia un’altra conta: «Quante ragazze ci sono nel pubblico?». E devo dire che la divisione è piuttosto equa. Siamo tante e la cosa mi rende orgogliosa. Tanto quanto il momento in cui la giovanissima Priestess, classe 1996, sale sul palco e duetta con Gemitaiz su Alaska. Priestess ci sa fare, ha una voce acuta, si mangia il palco e tiene testa a Gemitaiz senza il minimo problema. Non si presenta stritolata in un outfit sexy alla Lady Gaga, ma con giacca e catenone al collo. Arriva sul palco, lascia un paio di perle tra cui «no che non ci esco con te, sembri un carabiniere» e si prende un sacco di applausi.

Gemitaiz alla fine di Alaska ci tiene a farle pubblicità, dicendo quanto Priestess stia andando forte e facendo presente che ha un contratto con niente meno che la Tanta Roba Label. «Fate un cazzo di applauso a mia sorella Priestess» è la frase che più mi piace. Sorella. Non bitch, non troia (parole che comunque difficilmente senti nelle barre di Gemitaiz) ma sorella. Il pubblico reagisce bene, scongiurando il mio profondo terrore di fischi e insulti sessisti e le regala tre applausi scroscianti.

Se per ora Gemitaiz ha sfatato tutti i miti su di lui, rimane ancora una questione aperta: quella politica. Per tutto il concerto, l’ultima preoccupazione è la politica, non siamo a un comizio, stiamo facendo musica non propaganda. Gemitaiz pensa solo a fare quello che ama, far divertire il pubblico, duettare a una velocità folle con Madman, saltellare per tutto il palco con Achille Lauro, Boss Doms e Quentin 40 urlando: «Sembra di stare a Thoiry».

A fine serata, dopo aver finto un’uscita di scena ed essere richiamato sul palco a suon di «se non metti l’ultimo noi non ce ne andiamo», è il momento del pezzo lento per chiudere il live. E qui Gemitaiz chiede al pubblico: «Per questa canzone ci vuole l’atmosfera giusta. Dovete fare luce con quello che avete in mano, non mi interessa cosa, che sia il cellulare, l’Iphone, una sigaretta, una canna, una foto di Salvini che brucia».

Boato della folla. Non sento hater che rivendicano la loro appartenenza alla Lega Nord e allora mi dico che forse l’appello suo e di Salmo, che riassunto suona: «Se ascoltate rap non potete votare per Salvini, perché il rap si sa fa parte della cultura black» ha funzionato.

Buonanotte scivola via dolce e illuminata da tante lucine e Gemitaiz esce di scena tra gli applausi.

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