I soliti malfidenti sostengono che le cover al Festival di Sanremo servano per occupare una serata in più in tv e per far sentire finalmente al pubblico canzoni migliori rispetto a quelle in gara. Sarà vero?
Come già abbiamo avuto modo di scrivere, a Sanremo la musica è l’ultima cosa che conta: il Festival della Canzone Italiana è uno show televisivo concepito per un target adulto e generalista, dove si deve sapere quando volare alto e quando volare basso, quando fare promozione all’ennesima fiction Rai, lanciare messaggi sociali piuttosto che lasciare spazio agli intermezzi comici (a saperli fare…). La serata dedicata alla cover rientra alla perfezione in questo schema, con tutti i rischi che comporta approcciare brani che sono passati alla storia, spesso e volentieri eseguiti da chi a malapena sa ritagliarsi uno spazio nella cronaca e nei social.
Certe canzoni meglio lasciarle riposare in pace
Quando si esegue una cover i pericoli non mancano, soprattutto se ci si esibisce di fronte a una platea televisiva di milioni e milioni di persone e non nel pub di fronte agli amici. Fermo restando che ci sono gruppi e cantanti che con le cover band hanno costruito se non la loro fortuna, abbastanza per viverci e arrivare a fine mese.
I rischi maggiori? Innanzitutto quello di eseguire il compitino o di deviare dalla strada maestra prendendosi rischi non necessari. Qualche esempio in tempo reale? Noemi ha eseguito “Natural Woman” di Aretha Franklin in maniera scolastica, Yuman ha approcciato “My Way” di Frank Sinatra troppo timidamente, per poi lasciarsi andare soltanto nella parte finale.
Chi pensava di essere a X-Factor
Bene invece Le Vibrazioni con “Live and Let Die” di Paul McCartney anche e soprattutto per la presenza di Sophie di Sophie And The Giant (sua la voce della celeberrima hit di Purple Disco Machine), mentre Emma Marrone e Francesca Michielin con “Baby One More Time” di Britney Spears pensavano di trovarsi a X-Factor. Gran par… ehm furbacchione Gianni Morandi a farsi affiancare da Jovanotti nel loro simpatico medley, diretti dal dj e producer Mousse T, così come Elisa ha confermato di non c’entrare niente con il Festival di Sanremo: autentica fuoriclasse, farebbe emozionare anche se cantasse la lista della spesa, figuriamoci se si cimenta nella colonna sonora di “Flashdance”.
Infine – si fa per dire – Achille Lauro. Sulla malriuscita versione 3.0 di Renato Zero evitiamo ogni commento, sarebbe perfetto per un duetto con Morgan, a sua volta un maldestro tentativo di ispirarsi a Oscar Wilde. Si scherza ma non troppo e guai se non lo si facesse quando si scrive di musica leggera. Inchiniamoci alla standing ovation appena ottenuta da Lauro insieme a Loredana Berté e andiamo oltre. Anzi, può bastare così.