La dj palestinese Sama’ Abdulhadi, ovvero quando la techno mixa sacro e profano

4 Gennaio 2021
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Di sicuro è la dj più famosa di questo inizio d’anno, tra i millennial e non soltanto, ma per motivi dei quali avrebbe fatto molto volentieri a meno.

Ci riferiamo alla dj Sama’ Abdulhadi, arrestata dalla polizia palestinese lo scorso 27 dicembre. Colta in flagranza mentre suonava a Nabi Musa, località ubicata tra Gerusalemme e Gerico. L’accusa? Aver profanato con la sua techno un sito dove si trovano una moschea e la tomba di Mosè. 

La dj Sama’ Abdulhadi è stata liberata

Dopo petizioni capaci di raccogliere in poche ore oltre 100mila firme – altro che quelle per mandare a casa il Parlamento Italiano – e la solidarietà di tutta la community mondiale della musica elettronica, oggi (lunedì 4 gennaio) Abdulhadi è stata rilasciata su cauzione dalle autorità competenti, come si legge sul sito di Repubblica in una puntuale e dettagliata corrispondenza.

Non si tratta però della fine di un incubo, ma soltanto di un punto a favore della difesa, per quanto non trascurabile. Sino alla fine delle indagini Abdulhadi dovrà rimanere in Palestina, così come rischia, se condannata, sino a due anni di carcere.

 

 

Del resto i dj sanno molto bene che con certe realtà è meglio non avere approcci troppo superficiali, anche se in buona fede. Nel 2018 Mladen Solomun, uno dei dj migliori al mondo, suonò al Kappa Futur Festival di Torino una traccia che riprendeva la preghiera della sacra chiamata alla preghiera islamica. Sui social si scatenò l’inferno, al punto che Solomun dovette scusarsi con un lungo post su Facebook per questa inconsapevole intemerata.

Se è vero, come abbiamo più volte scritto, che i dj sono le rockstar del terzo millennio, va anche accettato il fatto che essere costantemente sotto i riflettori mediatici richiede un’attenzione totale a tutto quello che si fa, così come un singolo comportamento può diventare emblematico di una realtà nella quale la tensione è sempre pronta ad esplodere per un nonnulla.

Massima solidarietà per la dj Sama’ Abdulhadi ma…

Con il paradosso che Nabi Musa dista nemmeno 100 chilometri da Tel Aviv, una delle mete più amate dagli appassionati – millennial e non – di musica elettronica. Se la guerra è una cosa troppo seria per affidarla ai generali, anche la musica è forse argomento troppo delicato per essere maneggiata soltanto dai dj e soprattutto da entourage che non sanno nemmeno i rischi che si possono correre se si suona il disco sbagliato nel posto e nel momento sbagliato.

Sia chiaro: massima solidarietà per l’artista palestinese, che stava cercando soltanto di fare il suo lavoro. Così come non si può discutere il sacrosanto diritto alla libertà d’espressione, musicale e non, di ogni artista; altrettanto lecito nutrire riserve e perplessità su chi ha organizzato questa session senza considerare tutte le contro-indicazioni del caso. In certi territori non è quasi mai una questione di merito, ma di opportunità, come insegnano i fondamentali della diplomazia. 

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