Perché ci gasiamo ancora quando il dj mette i Finley
Qualche weekend fa ero a una festa, stavo ballando e tutto a un tratto il dj attacca una musica familiare, batteria e chitarra annunciano la prima inconfondibile strofa: “025613 numero di una stronza che dice di aver risposte ai miei perché“. Tutti si ritrovano a cantarla a memoria, senza sbagliare nemmeno una preposizione, come se avessero ascoltato Diventerai una star dieci minuti prima sotto la doccia.
Questa è un’ode (semi-postuma) ai Finley, perché quando erano al massimo della popolarità non li abbiamo ringraziati abbastanza, e invece avremmo dovuto. I Finley sono come l’uovo crudo al mattino, te lo somministrano un po’ per caso da piccolo e poi, anni dopo ti riguardi indietro e scopri che anche grazie a quello sei cresciuto bene.
Era il 2006, c’erano i primi MP3 dai colori fluo, c’erano le goleador, gli inutilissimi scalda polsi in spugna, le collane di smarties arcobaleno, i Nokia e i Finley. Per i millennial, almeno quelli della seconda metà degli anni Novanta, i Finley sono stati fondativi. Alla fatidica festa col dj dai gusti retrò, una volta finita Diventerai una star, i presenti si sono scambiati sguardi stupiti, sorpresi di ricordarsi il ritmo, ogni singola parola, il o la ragazzina di cui eravamo platonicamente cotti all’epoca.
Erano gli anni del pop punk che arrivava in ritardo dall’America all’Italia, dei Blink 182, Simple Plan, dei Green Day di American Idiot. Ci sentivamo tutti un po’ punk, un po’ skater, un po’ emo. Anche se non sapevamo cosa significasse punk, come si andasse su uno skate e nessuno di noi avesse la minima intenzione di farsi tagli sulle braccia.
Però avevamo lunghi ciuffi che ci coprivano gli occhi, sognavamo l’America, complici le serie tv del pomeriggio come The O.C., eravamo in preda ai primi amori, alle prime logiche di gruppo. Era il periodo delle medie e noi ci stavamo affacciando al mondo. E i Finley erano arrivati da Legnano con le loro canzoni orecchiabili, perfette per interpretare i nostri sentimenti di allora.
La band era composta da: Pedro, il front man con i capelli lunghi, sogno proibito di tutte le ragazzine; Ka alla chitarra; Dani alla batteria; Ste, poi sostituito da Ivan nel 2010, al basso. I Finley si sono conosciuti e formati tra i banchi di liceo di Legnano, nel 2002 e hanno fatto la gavetta al Circolone di Milano. Il nome del gruppo tra l’altro viene dal giocatore del’NBA Michael Finley. Dettaglio che io e le mie coetanee all’epoca ignoravamo, così come ignoro tutt’ora più o meno qualsiasi cosa riguardi l’NBA.
Come tutti noi ribelli delle medie tendevamo a fare, schifavamo l’italiano e ci dedicavamo alla cultura anglofona. La musica italiana all’epoca non la calcolavamo proprio. Non c’era spazio per il Festival di Sanremo, perché nostri riferimenti in quegli anni avevano un’aura internazionale: TRL, Mtv, Top of The Pops e al massimo il Festival Bar.
Così anche i Finley inizialmente scrivono e cantano in inglese. Il primo singolo è Make Up Your Mind, che sarà poi Tutto è possibile. È grazie all’incontro con il talent scout Claudio Cecchetto che i Finley cominciano a cantare in italiano e, in pochissimo tempo, ottengono un successo deflagrante.
Tutto è possibile, il singolo uscito nel 2006, racconta la loro parabola e intercetta i sogni di tutti noi adolescenti. Tutto è possibile, inseguire i propri sogni, diventare un giorno famosi come gli americani di Mtv. “Guarda il cielo per un attimo / E vedrai cambierà” era un grido di salvezza dai nostri problemi. Fuori da scuola, in cameretta o al parchetto, bastava affidarsi alla chitarra elettrica e alla voce di Pedro per sentire tutto un po’ più leggero.
Nel repertorio dell’epoca non mancano canzoni d’amore più o meno strappalacrime Scegli me, o Domani, perfetta da dedicare al fidanzatino delle vacanze. “Domani ripartirò / Ricorda di non dimenticare / Mille o più chilometri non potranno scioglierci” la musica che usciva dalle cuffiette, la fronte drammaticamente appoggiata al vetro e lo sguardo perso fuori dal finestrino dell’aereo che riportava verso casa.
Il ritorno a scuola era segnato da Sole di Settembre, quando si tornava dagli amici, da quella che sentivamo come la nostra famiglia, quelli che ti avevano insegnato come: “Un sorriso illumina / Ogni istante grigio della nostra età / Non un’ora, un giorno ma un’eternità”. Un sole tiepido che segnava l’avvicinarsi dell’inverno e dei banchi, delle lezioni e dello studio, ma anche un vero e proprio ritorno a casa, da chi era casa. E i Finley lo sapevano raccontare molto bene, un po’ malinconicamente.
Questo gusto emo pop trova il suo massimo in Fumo e Cenere, grido amarissimo di una storia finita male, con quel: “Il tuo mondo sta andando a puttane” che canticchiavamo a mezza voce per non far sentire ai nostri genitori un linguaggio inappropriato.
Oggi i Finley hanno all’attivo sei dischi in studio, un EP, esperienze in tv. Passano ancora in radio, non con le canzoni che ci hanno segnato, ma alla conduzione del programma I Trafficanti su R101. A gennaio 2019, che ci crediate o no, i Finley hanno registrato il tutto esaurito all’Alcatraz di Milano. Si vede che qualcosa, di questi primi, assurdi anni 2000, alla fine è rimasto.
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