Capello sbarazzino, viso angelico alla Dawson’s creek e un solo, struggente album: Grace (1994). Jeff Buckley, uno di quelli per cui quando lo ascolti capisci subito il detto “i migliori sono sempre i primi ad andarsene”. Ecco a voi Jeff Buckley biografia.
Cantava nella sua title-track, Grace, “There’s the moon asking to stay | Long enough for the clouds to fly me away | Well it’s my time coming, I’m not afraid to die”, che a pensarci vengono i brividi. Già, perché il giovane Jeff, promessa del rock mondiale e apprezzato da big dell’epoca come Bono Vox e Bon Dylan, viene rapito dalla morte a soli trent’anni, risucchiato dall’elica di un battello, nelle acque di un affluente del grande Mississipi. Sembra uno di quei trafiletti che leggi fuori dalle edicole di paese.
Se la fine è tragica, nemmeno l’inizio prometteva granché bene. Jeff Buckley è infatti figlio della violoncellista Mary Guibert e di Tim, famoso cantautore americano morto di overdose a soli 28 anni. Una vita che forse, quindi, conteneva già in se’ il seme della morte.
La sua carriera musicale inizia sul serio nel 1993 quando, dopo anni di esperienze fallimentari con piccole band, incide grazie alla Columbia il suo primo disco, interamente live, che per questo motivo prenderà il nome di Live at Sin-è.
Il primo tour va alla grande in Nord America e in Europa, così che solo un anno più tardi uscirà il primo vero album, Grace, dove una maggiore maturità musicale dona vigore e corpo alla leggerezza intrinseca delle melodie.
Il terzo disco (Sketches for My Sweetheart The Drunk), uscirà postumo nel 1997, amaro, come morire in primavera.
Sarà infatti in una calda sera di maggio che Jeff Buckley lascerà questo mondo, tuffandosi nelle acque del Wolf River (ironia della sorte, morire in un fiume che si chiama “Lupo”, e non chennesó, “Rondinella”) per non riemergevi mai più. Si dice che prima di entrare in acqua stesse canticchiando i Led Zeppelin, il suo gruppo preferito, nonché principale fonte di ispirazione. Canticchiava, lui.
Nel 2000 la Columbia pubblica per volontà della madre di Jeff altri due album, Mistery White Boy e Live in Chicago, seguiti da Live à l’Olympia (2001) e infine You and I (2016).
Forse non tutti conoscevate questo giovane bohémien del rock, ma ricorderete sicuramente la sua emozionante interpretazione di Halleluja (Leonard Cohen), colonna sonora della scena conclusiva della terza stagione di OC, in cui Ryan porta Marissa in braccio, morta, e in cui anche i Millennials più duri hanno dovuto tirar fuori i fazzoletti.
Chissà cosa avrà pensato, da lassù, a vedersi finire in una cazzo di serie TV.
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