Ma quindi Spotify è buono o cattivo?

7 Marzo 2022
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Quando ascoltavamo le canzoni nell’iPod mini, scaricate da qualche sito pirata, non ci facevamo troppi problemi sulla morale, sui diritti d’autore e sull’industria musicale. Certo, era tutto illegale, ma finché eravamo noi a decidere cosa infilare nelle nostre orecchie la questione non sembrava interessarci. Un intero sistema era al collasso, ma pazienza, “se le etichette non hanno pane che mangino le brioches”.

La musica ha iniziato a cambiare (in tutti i sensi) con l’arrivo di Spotify: noi ascoltiamo sempre le canzoni gratuitamente, ma in cambio dobbiamo subire la pubblicità e prendere una posizione su controversie come quelle di Joe Rogan – e il suo podcast che dava voce a sostenitori delle teorie complottiste su COVID e vaccini – e interrogarci sulla vera natura di Spotify.

Al suo meglio, Spotify è uno strumento che viaggia altissimo, un canale privilegiato e diretto tra l’arte delle parole e chi ama ascoltarle. Ma al suo peggio collude con un settore che storicamente tratta gli artisti in modo discutibile. Se da una parte ha portato nuovi introiti a musicisti ed etichette, e lo ha fatto proprio quando l’industria musicale aveva toccato il fondo a metà degli anni 2010, dall’altra paga royalties pietosamente basse per stream e pensa (costantemente) a nuovi modi per fare soldi. Dunque: Spotify fa bene o fa male alla musica?

Spotify è buono o cattivo?

È tutta una questione di soldi. E cosa se no? A differenza di Apple e Google, le fonti di guadagno di Spotify non sono infinite. Per questo è passato ai podcast a marchio Spotify generando da una parte nuovi abbonati e dall’altra nuovi spazi per pubblicare annunci.

Fatto cento che l’industria musicale fatica, l’ecosistema della pubblicità dei podcast è ancora abbastanza rigoglioso e questo da solo spiega perché nella vicenda di cui sopra tra Joe Rogan e Neil Young (l’artista ha fatto rimuovere dalla piattaforma tutta la sua musica rifiutando la ‘coabitazione’ con il podcast di un no-vax, e Spotify glielo ha lasciato fare) abbia vinto il primo. Morale? Fino a quando Neil Young rimarrà l’unico artista a mettere out out difficilmente le cose cambieranno. Una verità che è vecchia come il mondo, sicuramente di più di Spotify.

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