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Oltre la vanità: si fa presto a dire «Trasformazione Digitale»

3 Dicembre 2024
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La narrativa glamour della trasformazione digitale: realtà e illusione

Da qualche tempo, sui social e negli eventi aziendali, la trasformazione digitale è dipinta come la soluzione definitiva per ogni problema aziendale. Un miraggio di efficienza e progresso, dove dati e tecnologia promettono di far volare le aziende verso nuovi livelli di successo. La realtà, però, è molto meno lineare e molto più caotica di quanto ci raccontino i case study patinati che leggiamo online. Il mantra “la soluzione è essere data-driven”, ad esempio, sembra un obiettivo condivisibile, ma cosa significa davvero?

Sfide quotidiane: dati frammentati, team disallineati e resistenza culturale

Essere più data-driven non significa semplicemente raccogliere più dati, ma saperli organizzare e rendere utilizzabili per prendere decisioni strategiche che guardano a un periodo di tempo non troppo breve. E qui inizia il problema concreto. Spesso, la realtà è fatta di dati raccolti in modo caotico, strutture legacy che faticano a comunicare con i nuovi sistemi, e team che operano in silos, i sales separati dai marker, l’IT concentrato sulla sicurezza: sistemi separati senza possibilità di comunicare. Solo una piccola parte delle aziende dispone davvero di dati facilmente utilizzabili, e questo non per mancanza di tecnologia, ma per la difficoltà di coordinare processi interni e incentivare la collaborazione tra i vari reparti.

Un altro aspetto critico è la dissonanza tra narrazione nel dibattito e concrete realtà aziendali: se da una parte si enfatizza la necessità di essere data-driven, dall’altra molte strutture faticano a comprendere come utilizzare i dati a disposizione. L’80% dei dati generati rimane non strutturato e inutilizzato. La vera sfida non è solo raccogliere dati, ma tradurli in insight utili alle analisi, e questo richiede strumenti adatti e una mentalità volta al cambiamento (per non parlare della pulizia e dell’organizzazione del dato che serve anche solo per pensare di utilizzare le intelligenze artificiali, gli agenti, i bot).

Il paradosso del “troppo dato, troppo poco senso”

Una delle situazioni più comuni è quella in cui ci si trova a nuotare in un oceano di dati senza avere idea di quale direzione prendere. Avere enormi quantità di dati senza saperli tradurre in analisi e decisioni non è molto diverso dall’assenza totale di dati. Questo è il paradosso del “troppo dato, troppo poco senso”: le aziende hanno accesso a molte informazioni, ma faticano a sfruttarle in modo utile. Aiutarle, nella complessità, è parte del mio quotidiano.

Il fattore umano nella trasformazione

Non bisogna dimenticare che la trasformazione digitale è prima di tutto una trasformazione culturale. Troppo spesso viene vista come un problema tecnologico da risolvere con la giusta piattaforma, il giusto software, il perfetto SAAS, il consulente esterno. Invece, è un problema di persone, competenze e abitudini. La resistenza al cambiamento, la mancanza di formazione adeguata e la difficoltà di comunicazione tra dipartimenti rappresentano i veri ostacoli. La tecnologia è un acceleratore, ma senza un contesto aziendale pronto ad accoglierla, resta una potenzialità inutilizzata.

Essere davvero data-driven è ben più complesso che raccogliere dati e utilizzarli in qualche decisione. Significa ridefinire i processi interni, cambiare metriche di successo e monitorarle, fare investimenti coerenti in tecnologia e competenze.

La velocità del cambiamento e la pressione competitiva

Nel contesto attuale, il cambiamento è una costante, e la pressione competitiva, fortissima. Tutti sentono l’urgenza di trasformarsi, ma l’errore più comune è cercare di adattare vecchi processi a nuove tecnologie senza avere una strategia chiara. Spesso, un approccio graduale è più efficace: partire da casi d’uso specifici, come l’orchestrazione omnicanale o la personalizzazione 1:1, parlando di marketing, può fare una grande differenza e permettere di scalare in modo più consapevole e meno rischioso.

Una delle sfide professionali più importanti degli ultimi 2 anni, vinta grazie all’impegno di team multidisciplinari e multi-tecnologie, riguardò unificare i dati di contatti e clienti di un noto brand della distribuzione italiana: una fatica enorme, una progettazione rivista in corsa con metodologie agili, un percorso che ha impattato touchpoint di acquisizione, strumenti di trasformazione e organizzazione del dato, canali di comunicazione e customer service. Ma alla fine, la compiuta unificazione dei dati creando viste uniche dei clienti ha portato risultati economici importanti e messo le basi per ulteriori evoluzioni future.

La trasformazione digitale è più che tecnologia, è mentalità e progetto

La trasformazione digitale non è un passaggio semplice, né un percorso lineare. Implica affrontare la dissonanza tra la narrativa e la realtà, superare le sfide umane e organizzative, e imparare a dare senso ai dati. Con gli strumenti giusti e la volontà di cambiare, però, è possibile rendere la trasformazione digitale non solo fattibile, ma anche redditizia. Non si tratta solo di implementare nuove tecnologie, ma di adottare una nuova mentalità, più aperta, più agile, e più pronta ad abbracciare il cambiamento.

Sempre più spesso, nei progetti che seguo professionalmente, è utile e necessario affiancare a strumenti e pratiche di trasformazione digitale, una importante iniezione di gestione del cambiamento: change managment lo chiama chi parla bene. Ecco dove sta la vera trasformazione: processi, strumenti e azioni devono cambiare verso obiettivi comuni, ben disegnati e condivisi. Ma questa, quella del disegnare e condividere obiettivi, è storia per un altro articolo, e premessa al ragionare di cosa funziona e cosa no nelle organizzazioni complesse. Come nella trasformazione digitale, un passo alla volta, ci arriviamo.

 

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