Oltre la vanità: TikTok è lo zapping degli anni Venti
L’analisi che non ti aspetti, il racconto di uno Xennial vittima dell’algoritmo tictoccaro a cui devono aver fatto un corso intensivo di anni Ottanta e Novanta
Chi, come me, ha vissuto la televisione lineare italiana degli anni ’80 e ’90, ricorda certamente il fenomeno dello zapping: il passare costantemente da un canale all’altro alla ricerca di qualcosa che poi, cos’era non lo sapevamo nemmeno noi. Pubblicità, film iniziati a metà, talk show assurdi e scene di documentari — tutto poteva attirare la nostra attenzione, anche solo per pochi minuti o secondi.
A volte, però, sapevamo cosa cercavamo: tra un programma come “Colpo Grosso” e un telefono erotico, eravamo alla ricerca di soddisfare curiosità pre-adolescenziali.
Questa analogia tra lo zapping e TikTok non mi è venuta in mente in una notte insonne, incontrando l’ennesima tiktoker lasciva con i suoi countdown votati a promuovere altri tipi di interazioni. No, mi è venuta in mente una mattina di weekend, quando il mio TikTok, per come ho evidentemente addestrato l’algoritmo, mi ha proposto, rispettivamente:
- Bettino Craxi che porta fiori sulla tomba di Allende
- Giovanni Lindo Ferretti in un VHS consumato che urla “Spara Iuri” in un manicomio degli anni ’80
- Carmelo Bene da Costanzo
- Indro Montanelli che parla della P2 e del suo incontro con Licio Gelli
Sembrava “Schegge”, il programma di Rai Tre che riportava alla luce frammenti della TV del passato. L’analogia è diventata improvvisamente chiara. Televisione e TikTok lavorano, come sa chiunque si occupi di marketing, sulla parte alta del funnel: servono per la notorietà, per la conoscenza di un brand e la costruzione della prima parte della relazione tra il brand e il suo pubblico.
Ma ciò che accomuna tremendamente TikTok alla televisione è lo zapping: il frenetico e poco osservabile cambiare canale con il telecomando è diventato il nostro pollice che scorre video dopo video, in cerca di scariche ormonali accuratamente misurate da sistemi di tracciamento e date in pasto alle intelligenze artificiali. Queste, nel nuovo contesto, sono votate a fornire un contenuto sempre più vicino al nostro sentire, al nostro modo di vedere il mondo, alla nostra individualità.
Per questo sono così importanti i primi secondi dei video, gli “hook”, quei modi per tenere agganciati gli spettatori. Perché questo siamo sulla piattaforma cinese: spettatori di spettacoli discutibili e solo raramente discussi.
Torneremo ancora su queste colonne a parlare dell’importanza decrescente ma ancora significativa della televisione lineare. Qui, però, voglio farvi pensare al fattore comune di queste esperienze: noi, come esseri umani.
La nostra costante ricerca di soddisfazione, il nostro essere costantemente alla ricerca di stimoli, di piccoli momenti che possano sorprenderci, stupirci o semplicemente distrarci. Nel tempo della televisione, lo zapping era un atto di ricerca di novità in un panorama limitato. Oggi, con TikTok, il confine tra la noia e l’intrattenimento è diventato quasi invisibile, perché il contenuto sembra non finire mai e si adatta continuamente ai nostri desideri. Un contenuto prodotto dagli utenti, in una corsa alla notorietà che divora chi vi partecipa, spendendo una grande quantità di tempo per realizzare contenuti che nessuno vedrà, mostrandoci solo i picchi di successo e cancellando in un microsecondo gli sforzi di chi ci prova senza riuscire.
La ricerca costante del nuovo contenuto interessante non è nuova: nuova è la capacità, a volte sorprendente, a volte imperfetta, di anticipare ciò che stiamo cercando. Come sempre, se tecnologia e innovazione volano, l’uomo si adatta lentamente, arrancando e adeguando vecchie pratiche a nuovi contesti ed elementi.
Per i brand, TikTok è un canale di marketing, così come il talento cercato dalle agenzie pubblicitarie non è dissimile dai vecchi testimonial. Per i marketer, rappresenta una nuova sfida da comprendere, sfruttare e dalla quale non farsi schiacciare, evitando di inseguire una notorietà illusoria detenuta dal media.
Perché sì, questa è la conclusione: i processi che stanno portando i vecchi media a essere sostituiti dai nuovi media assomigliano sempre più a schemi piramidali proiettati verso l’alto, dove poche persone e organizzazioni detengono la maggior parte del potere e delle risorse, mentre la maggioranza rimane ai margini, con potere e quattrini che si concentrano sempre più nella parte alta della piramide.
Ma anche su questo, un pezzo alla volta, torneremo.