Polaroid di Carl Brave e Franco126: istantanee dei Millennial. Cazzoni, ma vivi

7 Novembre 2017
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Se volete andare a Roma, ma siete troppo poracci per permettervi un biglietto Frecciarossa o Alitalia, quello che dovete fare è ascoltare Polaroid di Carl Brave e Franco126. D’un tratto vi ritroverete in via Libetta a staccare caschi a caso dai sottosella dei cinquantini. Ma soprattutto in quelle foto istantanee riconoscerete voi stesi: cazzoni, ma vivi.

 

Ho sempre avuto un debole per i romani, il loro accento è estremamente grezzo ma sensuale allo stesso tempo. Quindi, quando una sera di questa estate, seduta su una panchina di Parco Sempione, un mio amico ha messo su Spotify Tararì Tararà, di Carl Brave e Franco126 il mio cuore si è completamente sciolto, e ora ce sto decisamente sotto.

La scimmia che mi hanno messo addosso questi due Trasteverini, non si stacca più, li ascolto in metro per andare all’università, mentre preparo la cena, in macchina, quando mi vesto per uscire, li canto sotto la doccia.

A molti possono non piacere all’inizio, bisogna capirli, farci l’orecchio, sono come quelle ragazze che prima è no e poi le sposi. In ogni caso non c’è da sottovalutarli, perché ogni pezzo è una cannonata dietro l’altra.

 

Il disco Polaroid di Carl Brave e Franco126 (un duo, va da sé, romano), uscito lo scorso Maggio, raccoglie dieci canzoni, presentate come delle fotografie istantanee che raccontano frammenti di vita.

La cosa positiva di questo album sta nella novità delle tematiche, semplici e reali in cui tutti si possono immedesimare.

La cosa negativa è che dopo averlo ascoltato, ti viene un impulso irrefrenabile di mollare tutto, prendere il primo volo Alitalia e trasferirti a Roma per sempre.

 

Polaroid di Carl Brave e Franco126 ti trascina con loro tra le strade di Roma da Santa Maria al bar di S.Callisto fino a Fontana di Trevi. Il loro è un mondo di immagini in sequenza: bottiglie stappate con l’accendino, ciocie (infradito) squagliate sui sampietrini, il 19 che non passa, messaggi con le emoticon, bori (tamarri) in comitiva, lo zozzone (paninaro) dove si va a schimicare.

 

Non raccontano storie eccezionali, il loro non è rap di protesta, non c’è un pensiero elevato alla base, e nessun messaggio che vogliono trasmettere. Ci presentano solo delle polaroid di momenti giornalieri che hanno come sfondo Roma. La quotidianità diventa musica, la loro storia diventa la nostra.

 

Pijo l’Enjoy, metto la retro

Do un bacetto al Pandino dei tuoi

‘Na settimana che facciamo quello che vuoi

E ‘sta domenica Porta Portese è isterica

Io con la solita scena patetica (hei)

Ridimmi il nome che

Quando mi presento penso solo a come dire il mio

Sai che so’ un bravo fijo, lei mangia frutta Bio

È del Fleming ed è come se venissimo da altri pianeti

Così lontani però come fratelli siamesi

La terra trema, brividi da sotto i nostri piedi

Basterebbe preme’ invio per dirti tutto in una mail

E tu sei online ma non ci sei

Famo una colla pe’ una boccia a Ponte Milvio

Ci contagiamo come dopo uno sbadiglio

‘Na mezza rissa con un boro x

Mi so’ scordato un’altra volta il mio codice PIN

 

I loro testi sono dedicati a noi, a questa età.

Descrivono la nostra società, chi siamo, cosa ci piace, cosa facciamo, come amiamo, in un racconto dettagliato e preciso, un racconto vero.

 

Polaroid di Carl Brave e Franco126 raccoglie dieci brani, dieci frammenti di vita che appartengono al nostro vissuto. Dalla ragazza che ci piace e non ci fila. “Lei scorre con le dita sul touch screen. Sorseggiando uno Spritz, risponde a monosillabi, tra una settimana parte per Madrid, io lo sapevo finiva così”.

Alle differenze tra classi sociali. “Io faccio lo scemo ma co’ lei no, non attacca. Io tipo da Campari, lei da oliva nel Manhattan”.

Alle serate passate sempre nel solito bar. “Rompo le chiavi nel bauletto. Noi sempre in quel baretto. È una vita che t’aspetto”.

All’amico del cuore che ci riempie la Rizzla. “Famo chiusura a Ibiza, giuro che sono in lista, riempi quella Rizzla eh”.

 

Nel loro brano “Sempre in due” si definiscono come “Fiori cresciuti in mezzo ai sampietrini” ed è proprio quello che sono.

Sì, siamo dei cazzoni, questo è vero, ma non passiamo le nostre vita attaccati ad una schermo del cellulare. Vivere ci piace ancora:

Te dimmi dove sei mi faccio tutta Roma a piedi

 

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