Il 4 di Aprile è arrivato dal mare a Ostia un coloratissimo corteo. Sembrava un carro del Gay Pride, cui partecipavano sia uomini che donne, non facilmente distinguibili. Il look più diffuso per gli uomini era: capelli molto lunghi, ossigenati con un turbante, lunghe vesti morbide femminili gialle, trucco decisamente pesante, molti gioielli. La novità è stata solo quella di fare un corteo marino? In effetti no, perché stiamo parlando dell’anno 204 aC. Già, il primo Gay Pride in Italia si è svolto circa 2222 anni fa.
Suonavano anche dei tamburelli e dei flauti. Un altro gruppo aveva optato per un look macho, avevano anche delle armi ma non si capiva bene se fossero uomini o donne. Il centro del corteo marino era occupato da una grande pietra nera conica, squisitamente fallica, e da una statua di una donna incoronata. Erano loro il centro delle danze e dei canti dei partecipanti.
Tecnicamente non era il primo Gay Pride in Italia, ma l’arrivo della statua della dea Cibele e del Lapis Niger, col relativo corteo sacerdotale, a Roma. In quegli anni, durante la seconda guerra Punica, Annibale teneva la Repubblica sotto scacco. I libri sibillini avevano vaticinato che la Città Eterna avrebbe dovuto accogliere la Madre, ossia la Grande Dea della Terra, per salvarsi.
Già vi era il culto di Demetra, quello di Cerere e di altre dee della fertilità. La Madre anatolica aveva però una valenza ctonio-dionisiaca, molto diversa e più forte.
La religione romana e la sua società nel complesso erano molto austere, soprattutto in età repubblicana: 20 anni dopo vennero addirittura vietati i baccanali. E’ stata quindi una scelta rivoluzionaria quella di trasportare il simulacro principale della Dea a Roma dalla Frigia, la regione di Troia da dove nel mito provenivano gli stessi Romani con Enea.
Il suo culto aveva connotati orgiastici e sanguinari: nel Dies Sanguinis, il 24 di Marzo, i galli ( i sacerdoti vestiti in abiti femminili gialli), si autocastravano cadendo in estasi in onore della Dea.
Nel giorno della morte di Attis i coribanti (quelli dal look macho del primo Gay Pride in Italia) danzavano forsennati e si ferivano vicendevolmente.
Potremmo dire che la società romana, nel momento di massima crisi, in cui era in pericolo la sua stessa esistenza, abbia, parzialmente, messo in discussione la propria etica cercando nuova linfa nelle pulsioni ctonie incontrollate della Dea. E’ l’inconscio che straripa nel conscio, è l’Io che affonda nell’ES per cercare se stesso. È, appunto, l’Iniziato che scende negli Inferi vivendo la propria morte mistica per risorgere come uomo nuovo.
Cartagine nacque come colonia fenica, la sua dea era Tanit, Astarte in madrepatria. Dea dalle caratteristiche speculari a Cibele. Gli antichi vedevano le guerre degli uomini anche come guerre tra i rispettivi dei. Roma ha incorporato in sé la dea nemica, nella versione “troiana” ad essa affine.
Sarà stato un caso ma i risultati, in effetti, si sono subito visti, in due anni Cartagine e Annibale sono stati sconfitti.
Le processioni, non cruente, dei galli per la dea Cibele che risalgono al primo Gay Pride in Italia continuano fino ai giorni nostri. A Montevergine vi è un santuario dedicato ad una Madonna Nera. Tradizionalmente il 2 di febbraio, alla festa di Candelora, i femminielli di Napoli ci vanno in processione. La leggenda vuole che nel 1200 una coppia di ragazzi omosessuali fu salvata dal congelamento dalla Madonna (ci sono varie versioni) e, da allora, vi sarebbe questa usanza.
Pare, però, che l’intera area, nell’antichità, fosse dedicata a Cibele e che, nei millenni, siano continuati riti particolarmente… eterodossi. La “veste” cristiana sarebbe stata poi posta successivamente.
I femminielli a Napoli sono sempre esistiti e profondamente istituzionalizzati, anche nell’epoca della legislazione più repressiva spagnola. Si tratta di “travestiti” che accentuano in modo caricaturale aspetti femminili, quali il trucco molto pesante e i gioielli vistosi. La similitudine coi galli di Cibele è impressionante.
Molto noto è un loro rito di iniziazione, la cosiddetta “figliata dei femminielli”, o covata. Fu descritta anche ne La Pelle di Malaparte. E’ considerabile una sorta di “residuo rituale” che ci rimanda a culti antichi, su su a ritroso fino al primo Gay Pride in Italia, che sono stati poi via via marginalizzati. E che oggi sono condannati a essere nient’altro che un fenomeno di folklore.
La figliata prevedeva che il femminiello inscenasse un parto, attorniato dei suoi “confratelli”. L’iniziato si sarebbe dovuto immedesimare nell’evento fino provare, effettivamente, i dolori del travaglio. Contemporaneamente gli altri femminielli partecipavano alle sue sofferenze col cosiddetto trivolo vattuto o battuto. Una lamentazione e pianto di cordoglio in cui si muove ritmicamente la testa e si battono le mani e le guance.
Storicamente non può non venire alla mente la “Discesa agli Inferi di Inanna”. Dea sumera, il cui corteo era, appunto, formato dai “galla”, i più probabili “antenati” dei “galli” di Cibele.
Inanna fu, appunto, liberata dall’Oltretomba grazie al “trivulo vattutto” fatto dagli androgini Kurgarra e Galatur che, partecipando al dolore della dea degli Inferi ( Ereshkigal ), ne ottennero i favori potendo portarsi via Inanna, resuscitata e scortata dai galla. Stesso ruolo avevano i galli e coribanti di Cibele che, in modo molto scenografico, partecipavano al dolore per la morte di Attis. Coribanti viene dal frigio Kurbantes, a Creta Kuretes (per la dea Rea) ed erano profondamente affini ai, citati, sumeri Kur.gar.ra, dai quali si potrebbe ipotizzare l’origine del nome.
Il culto di un dio è fatto e perpetuato dalle persone. Come la storia di Cibele ci insegna, veniva “spostata” una divinità con parte del proprio collegio sacerdotale. E’ molta facile che, quindi, il nome dei sacerdoti stessi si possa essere conservato per tanti millenni, mentre il nome del dio specifico si sia modificato in base a quello degli dei locali. Nel paganesimo non è il “nome” che conta, come nella religione ebraica, ma la forza divina che albergava dietro un certo idolo/dio.
Bellissimo ed esemplificativo è questo brano di Apuleio, sulla Dea-Madre che descrive se stessa, 1900 anni fa, appena 300 anni dopo il primo Gay Pride in Italia:
“Indivisibile è la mia divina essenza, ma nel mondo io son venerata ovunque sotto molteplici forme, con riti diversi, sotto differenti nomi. Perciò i Frigi, i primi abitatori della Terra, mi chiamano Madre degli Dei (Cibele), adorata in Pessinunte; gli Attici autoctoni, Minerva Cecropia; i Ciprioti bagnati dal mare, Venere di Pafo; i Cretesi abili arcieri, Diana Dictinna; i Siciliani trilingui, Proserpina Stigia; gli abitanti dell’antica Eleusi, Cerere Attea; alcuni, Giunone; altri, Bellona; gli uni, Ecate; gli altri Ramnusia. .. e gli Egiziani, cui l’antico sapere conferisce potenza, mi onorano con riti che appartengono a me sola, mi chiamano col mio vero nome, Iside Regina”
E’ una questione di marketing quindi, ogni gruppo sacerdotale spingeva per la propria divinità, coi relativi onori che ne conseguivano.
Come in un sogno orfico possiamo vedere il corteo di Inanna e dei galla salire dal regno dell’oltretomba di Sumer 5000 anni fa, arrivare in Frigia e ripartire alla volta di Roma dopo 3000 anni. Il corteo continua al presente diretto verso “Mamma Schiavona” a Montevergine.
Il lamento dei galli si sente ancora nel trivolo dei femminielli e termina col parto di un bambolotto o di un feticcio dalla forma conico/fallica che altro non è che il Lapis Niger di Attis.
Per sua natura infertile, l’Androgino, il femminiello-gallo, posseduto dalla Dea, compie il “miracolo” del parto.
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