L’ultima ossessione dei Millennial sono le serie tv giapponesi come Giri/Haji

28 Gennaio 2020
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Chi l’avrebbe detto che una serie tv giapponese di Netflix avrebbe conquistato tutti?

Eppure Giri/Haji l’ha fatto, mescolando con sapienza e abilità ispirazioni nipponiche e ambientazioni altrettanto esotiche all’apparenza rassicurante di Londra.

Già il titolo della serie tv giapponese è emblematico. Significa “dovere-debito/vergogna”. Il concetto di “dovere” e “debito” sembra riferirsi soprattutto ai protagonisti di origine nipponica, intrappolati in una rete di rapporti di potere non sempre comprensibili per noi occidentali.

Trama

Il protagonista è Kenzo Mori  (Takehiro Hira), un poliziotto giapponese che si trova a dover rintracciare Yuto, il fratello creduto morto. Yuto (Yosuke Kubozuka) ha ucciso il nipote di capo della Yakuza, lasciando indizi che rimandassero a Fukuhara, suo ex capo, come mandante. Ma quest’ultimo non ci sta a passare per uno che ha infranto la tregua tra le famiglie della città e cerca, tramite la polizia, di trovare Yuto e dimostrare la sua innocenza.

Kenzo giunge così a Londra sotto copertura e lì si trova a far squadra con la poliziotta Sarah Weitzmann (Kelly Macdonald) e poi anche con Rodney, un ragazzo anglo-giapponese che per drogarsi si prostituisce.

Tutto si complica quando anche Taki, la figlia adolescente di Kenzo arriva a Londra per fuggire dai suoi guai con la scuola mentre in Giappone si scatena una lotta senza quartiere per il predominio tra le famiglie della Yakuza.

Personaggi e fatti

La trama è piena di colpi di scena e si dipana svelando gradualmente le ragioni che hanno condotto Yuto a compiere l’omicidio e, ancora prima, ad entrare nella Yakuza.

Tuttavia nessun personaggio della serie è esente da parti oscure, neanche Kenzo, che si pone come un uomo onesto e fedele o Sarah, così gentile e disponibile.

Persino Taki, l’adolescente silenziosa e ribelle a casa, una volta a Londra fiorisce, a dispetto delle difficoltà, e riesce a rivelare la sua identità più profonda.

Sicuramente è una serie da vedere ma alcuni aspetti risultano molto enfatizzati e al limite di una rappresentazione di genere quasi parodico a tratti.

Tre domande al Ragazzo Giapponese!

Per approfondire alcuni punti della cultura giapponese che emergono dalla serie abbiamo chiesto al nostro corrispondente giapponese, Kentaro (se non lo conoscete leggete subito la sua rubrica “Sono Giapponese!”), di spiegarci alcune cose.

Domanda: La Yakuza nel film appare molto simile alla mafia italiana ma maggiormente integrata nella società. Il capo della polizia conversa amabilmente con i vari capi e nessuno sembra stupito. Ma davvero una cosa simile può accadere in Giappone? Senza che nessuno batta ciglio?

Kentaro: Ma no, decisamente no! È un’invenzione (per quello che posso saperne io che sono un onesto cittadino) che fa colore, diciamo che si adatta bene a un racconto di fantasia.

D: Perché il binomio dovere/debito e vergogna è così importante? Nella serie sembra proprio che Kenzo sia considerato responsabile per ristabilire l’onore perduto della famiglia, disonorata da Yuto. Questa concezione secondo cui l’errore del singolo membro di una famiglia si ripercuote su tutti gli altri è ancora attuale in Giappone?

K: Purtroppo sì. La società giapponese considera tutti collegati e prevale l’idea di “responsabilità condivisa”, se fai un errore questo ricadrà sulla tua famiglia, che potrebbe pure pagare per te.

D: Mi pare quindi che dalla serie emerga una differenza fondamentale tra cultura occidentale e giapponese. In Giappone è più forte il senso di collettività?

K: Sì sicuramente, ma un po’ di individualismo non fa certo male. Anzi penso sia persino positivo rispetto al considerare sempre tutti responsabili pure per gli altri e punirli per questo. Ma ovviamente c’è caso e caso.

Perché questa serie piace così tanto ai Millennial?

Forse quello che colpisce maggiormente di Giri/Haji e in fondo ci affascina è proprio quell’esasperazione della responsabilità, questa narrazione che collega tutti, volenti o nolenti, alle azioni degli altri.

Come se noi, felici individualisti occidentali, anelassimo a tornare sotto il giogo delle colpe dei padri (ma pure, cugini, madri e zii) che ricadono sui figli, così da poter sentire il peso del passato e spendere poi migliaia di euro in psicanalisi.

Sicuramente non esiste una soluzione ma è probabile che un po’ più di responsabilità condivisa in Occidente e un po’ più di sano individualismo in Giappone forse potrebbero giovare a tutti.

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