Il coronavirus – e l’emergenza che porta con sé – è circondato di strategie. Sanitarie, economiche e comunicative. Ecco, le ultime hanno avuto più e più volte i millennial al centro degli spot.
Da un lato nella veste di untori con l’invito a non fare serate a non fare vacanze, eccetera. Dall’altro come protagonisti per mediare a tu per tu presso i giovani e giovanissimi e riproporre il sacrosanto mantra del rispetto delle regole base: mascherina, distanziamento e igiene.
Ora un ente come Regione Lombardia, il territorio italiano più colpito dalla prima e dalla seconda ondata del covid, si sta servendo anche del più giullare degli arroganti millennial: Zlatan Ibrahimovic (la sua vita). Un personaggio sempre sopra le righe, che piace ma soprattutto si piace come solo chi appartiene alla net generation riesce a fare.
«Il virus mi ha sfidato e io ho vinto. Ma tu non sei Zlatan, non sfidare il virus. Usa la testa e rispetta le regole. Distanziamento e mascherina. Sempre. Vinciamo noi», le parole del campione svedese nello spot girato al volo sopra il terrazzo della sede della Regione a Milano. Ibra non parla per sentito dire. Lui è uno che ha sconfitto il virus nel giro di poco e allora il suo annuncio al mondo era stato di questo tenore: «Il covid ha avuto il coraggio di sfidarmi. Pessima idea».
Lo spot di Zlatan si aggiunge ad una serie di cartelloni apparsi più o meno su tutti i muri virtuali e reali delle città lombarde. Il messaggio era chiaro anche se presentato come dubbio: «Evitare i luoghi affollati o affollare le terapie intensive?», «Indossare la mascherina o indossare il respiratore?». E ancora «Senso di responsabilità o senso di colpa?». Interrogativi seguiti dalla frase ‘sentenza’: «La scelta e tua ma le conseguenze riguardano tutti noi». E l’appello: «Aiutaci a contenere la diffusione del coronavirus, prima che sia troppo tardi».
Una campagna, quest’ultima, alla quale hanno ribattuto tono su tono gli oppositori del partito di Rifondazione Comunista. Una battaglia a colpi di spot ‘gemelli’: stessa posa, diversi soggetti. Stessa grafica, diversi dubbi. «Sei mesi per una Tac o meno liste d’attesa?». «Vale più la borsa o la vita?». «Chiudere le scuole o aumentare il trasporto pubblico?». E anche qui un disclaimer ‘sentenza’ per ogni cartellone: «La scelta è solo una: commissariare la sanità lombarda». E un appello: «Salvaguardiamo la salute, prima che sia troppo tardi».
La lotta al coronavirus, insomma, non è solo questione di mascherine, guanti, lockdown, coprifuoco o agognati vaccini. Oltre ai medici, agli infermieri e ai ricercatori – categorie che in ogni caso pullulano di millennial – il virus si combatte anche a colpi di spot, post, immagini e influencer. E in questo campo, quelli della generazione Y sono i numeri uno. O per dirla come Ibra, sono degli dei.
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