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What Drives Us conferma che il rock ha saltato almeno una generazione

12 Maggio 2021
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In rete le cose migliori bisogna saperle scovare.

Come What Drives Us, il documentario di Dave Grohl disponibile su Amazon Prime. 68 minuti godibilissimi, nei quali l’ex batterista dei Nirvana nonché fondatore e frontman dei Foo Fighters intervista autentiche rockstar quali Ringo Starr, The Edge, Brian Johnson, Lars Urlich e tantissimi altri.

Con tutti si parla degli esordi, della sana gavetta che ha portato questi fenomeni dagli esordi ai rispettivi tour mondiali. Percorsi diversi, ma con un unico comun denominatore: il van, ovvero il furgone sul quale ogni gruppo alle prime armi è partito per le destinazioni più assurde.

What Drives Us su Prime Tv: trailer

Alla scoperta delle origini di mitici gruppi rock

Un modo originale e di certo non banale per raccontare le origini di gruppi epocali quali U2, Metallica, Red Hot Chili Peppers e ovviamente Foo Fighters. Domande semplici, risposte dirette – a volte anche troppo – e una serie di aneddoti nei quali tanti musicisti alle prime armi possono riconoscersi: il tutto scorre in maniera alquanto dinamica, fin troppo facile definirla molto rock, anche perché Grohl sa molto bene di che cosa parla.

Il van è un vero e proprio rito di iniziazione, un momento di passaggio dalle prove in uno scantinato ai primi concerti, dove magari c’era più gente sul palco a suonare che pubblico presente. Un percorso nel quale chiunque abbia fatto o faccia musica può riconoscersi.

 

What Drives Us è un tributo agli anni dei primi millennial

Resta da chiedersi se What Drives Us sia anche e soprattutto un tributo a un’era e alle rockstar dei bei tempi che furono e che non hanno più avuto eredi. Con l’avvento di internet e dello streaming, uniti a questa pausa prolungatissima dovuta alla pandemia, il pubblico si è allontanato dai live prima per scelta e poi per obbligo.

Sicuramente club, arene, stadi e palazzetti torneranno a riempirsi: per i grandi numeri e per i tour mondiali non resta però che confidare nell’eterna giovinezza dei gruppi rock che sono nati negli anni sessanta (Rolling Stones), settanta (AC/DC), ottanta (U2) e novanta (e qua l’elenco si farebbe lunghissimo). Dopo non è successo granché, di sicuro niente di pari livello.

 

Il futuro del rock? Mancano le nuove generazioni

«Siamo rimasti in pochissimi a suonare nelle arene di tutto il mondo. Come se, a un certo punto, alla fine degli anni novanta, fosse stato costruito un grosso muro. Chi era dalla parte giusta – spiega Flea dei Red Hot Chill Pepper in uno dei passaggi chiave del documentario – poteva continuare ad andare avanti per il resto della vita. Quale grande rock band è emersa fuori negli ultimi 20 anni? Nessuna, mi pare».

Il rock and roll non potrà mai morire, come Neil Young cantava nel 1979 in “Hey Hey, My My”, ma di sicuro non c’è moltissimo tempo per garantirgli un ricambio generazionale. Impossibile anche soltanto pensare di avvicinarsi ai livelli di certi mostri sacri, ma non è comunque una scusa sufficiente per non salire su un van e provarci.

 

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