Ieri sono stata al concerto di Vasco Rossi, Non Stop Live Tour 2019, allo stadio San Siro. Quella del Vasco è stata una vera occupazione dello Stadio, iniziata il 2 Giugno, e che terminerà il 12 Giugno. Poi sposterà tutta la troupe su una barca e finirà il tour a Cagliari.
Io ci son stata perché ero convinta fosse l’ultimo concerto della sua carriera, che dopo avrebbe finalmente chiuso i battenti per sempre e mi sembrava sacrosanto celebrarlo.
Ma, mentre aspettavo l’arrivo di Vasco, uno di quei fan accaniti, mi ha spiegato che probabilmente ne farà ancora molti altri, che non è assolutamente finito. Che Vasco è immortale, è passato, presente, futuro, è parte di noi, della nostra cultura, che lo avrei capito appena fosse salito sul palco – tutto questo senza prender fiato.
Era un over 40 con la canotta e la bandana, aveva un tatuaggio con scritto: “E’ tutto un equilibrio sopra la follia” sul bicipite, frase che anche io mi ero scritta a 15 anni, ma sulle All Star.
Mentre mi spiegava la storia del rocker, a suo parere paragonabile a quella di Mick Jagger dei Rolling Stones, io continuavo a sorseggiare la mia birra, sperando si desse una calmata.
A me piace Vasco Rossi, per carità, ero esaltatissima di essere per la prima volta ad un suo concerto, ma in mezzo a quello stadio ero la più apatica, almeno se paragonata alle ragazze col reggiseno in vista e con la frase “La la la la la la la, fammi godere” sulla schiena in pennarello rosso.
Mi considero una fan media di Vasco Rossi, mi piace, ma posso anche farne a meno, ecco.
Eppure anche io sono cresciuta con le sue canzoni in cameretta, mi ha spiegato molto del mestiere di vivere coi sui testi, mi ha fatto piangere sviscerando emozioni adolescenziali. Vasco Rossi deve essere un periodo nella vita che ognuno si merita, per crescere, ma poi si passa oltre.
Al concerto, al contrario, c’erano rimasti tutti un pochino sotto. Alcuni fan di Vasco dicevano di ascoltare solo Vasco e questo è un problema gravissimo, mi sono spaventata, da uscirne pazzi.
Ma c’erano anche tanti Millennial come me, che erano lì soprattutto per ricordare, per farsi trasportare da tre ore di concerto verso tempi che ci sembrano ormai sfuggiti dalle mani.
E poi arriva…l’eroe?
Poi l’eroe è salito sul palco, osannato dalla folla come il messia di tutte le generazioni: i 40enni, i Millennial, ma anche i 17enni che, come un flusso che si ripete, stanno scoprendo le delusioni della pubertà sulle note di Albachiara e Gabri. Era la celebrazione di un popolo musicale che si è riprodotto per diverse generazioni.
Allora, guardandolo per la prima volta dal vivo, ho capito che Vasco Rossi è tanto amato perché non ha mai smesso di essere un tipo qualunque: crea una fortissima empatia, in ciascuno di noi.
Ormai è vecchio, con l’esperienza di una carriera favolosa, ma conserva quella panza da birraio che straborda fuori dalla cintura, le giacca da motociclista, la bandana che non va più di moda dagli anni 70, quegli occhi azzurri che sembrano aver vissuto molto.
Come uno dei tizi che trovo ogni tanto al bar della stazione in provincia, che appena si ubriacano trascinano tutti nei loro deliri esistenziali e cantano biascicando a suon di “eeeeeh”, “ooooh”, ma li rispetti. Perché sono lo specchio delle cose che capitano nella vita e i loro discorsi sono più sensati di quanto credi. Anche Vasco è così, ha avuto solo la fortuna di riempire gli stadi.
E quando si gira il berretto e si appoggia all’asta del microfono, con le gambe leggermente aperte, sai che stai per ascoltare una grande canzone, una di quelle con cui riempivi di cit. il diario del liceo.
Con la notte e gli accendini che illuminano lo stadio, Vasco Rossi canta il testo di Vivere, canzone che lo rappresenta più di tutte, perché è la sintesi del suo personaggio. L’’insegnante della vita più spiccia e banale di ciascuno di noi, mentre confessa le nostre fastidiose quotidianità con la sincerità di un ubriaco.
“Ed è passato tanto tempo” da quando i nostri genitori lo ascoltavano su Punto Radio, e noi Millennial guardavamo le clip su YouTube, con i font colorati e le immagini Emo che scorrono sotto il testo di Vivere.
“Il ricordo senza tempo” che ha unito tutte le persone allo stadio: io, fan media, il pazzo con la scritta tatuata, le 28enni in reggiseno, tutti così diversi l’uno dall’altro ma con le stesse parole disilluse in bocca: “e poi pensare che domani sarà sempre meglio”.
Quando ha finito di cantare il testo di Vivere, ha indicato il pubblico dicendo: “Ce la farete tutti, ce la fareteeee, ve lo garantisco”,“ Ce la farai pure tu”, fissando un tizio sfigato in prima fila. E tutti erano speranzosi e gli occhi brillavano, davanti al maestro.
Dopo esser andata ad un concerto di Vasco ti rendi conto che la tentazione di appicciarsi addosso e tatuarsi sulla pelle ogni sua parola può anche essere lecita…. Ma per fortuna, appena uscita dallo stadio di San Siro, mentre la botta da Vasco scendeva, ho capito di conservare ancora un pizzico di raziocinio.
Vivere testo:
Vivere
È passato tanto tempo
Vivere
È un ricordo senza tempo
Vivere
È un po’ come perder tempo
Vivere e sorridere
Vivere
È passato tanto tempo
Vivere
È un ricordo senza tempo
Vivere!
È un po’ come perder tempo
Vivere e sorridere dei guai
Così come non hai fatto mai
E poi pensare che domani sarà sempre meglio
Oggi non ho tempo
Oggi voglio stare spento
Vivere
E sperare di star meglio
Vivere
E non essere mai contento
Vivere
Come stare sempre al vento
Vivere, come ridere
Vivere (vivere)
Anche se sei morto dentro
Vivere (vivere)
E devi essere sempre contento
Vivere (vivere)
È come un comandamento
Vivere o sopravvivere
Senza perdersi d’animo mai
E combattere e lottare contro tutto contro
Oggi non ho tempo
Oggi voglio stare spento
Vivere, vivere (vivere)
E sperare di star meglio
Vivere, vivere (vivere)
E non essere mai contento
Vivere, vivere (vivere)
E restare sempre al vento a
Vivere e sorridere dei guai
Proprio come non hai fatto mai
E pensare che domani sarà sempre meglio
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