La Serie A riparte, lo scudetto compie 100 anni: Giordano Bruno Guerri racconta la sua nascita

22 Giugno 2020
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La Serie A riparte, lo scudetto compie 100 anni, e se non lo sapevate ecco l’incredibile storia delle sue origini. Ce la siamo fatta raccontare da Giordano Bruno Guerri, presidente e direttore di Fondazione il Vittoriale degli Italiani nonché tra i più illustri biografi contemporanei di D’Annunzio, il vate che ebbe per primo l’idea del tricolore sul petto. “Era meglio che correre con coppe in mano o medaglie al collo….”

La storia è un abile sarto che ricuce gli strappi del tempo. Anche ai tempi del Coronavirus, anche dopo una Guerra mondiale, per confezionare straordinari abiti su misura. Lo sa bene Giordano Bruno Guerri, storico, saggista, giornalista e accademico italiano, che se questo campionato di serie A si fosse svolto in maniera lineare, magari senza una pandemia di mezzo, avrebbe appuntato sul petto dei campioni d’Italia lo scudetto col tricolore.

 

Giordano Bruno Guerri

Forse accadrà lo stesso, anche se adesso è presto per dirlo col campionato ripreso da poco e con stadi gremiti da pubblico virtuale. Forse perché idealmente, Guerri, presidente e direttore della Fondazione il Vittoriale degli Italiani, lo ha promesso a D’Annunzio che quel simbolo sulla maglia lo ha di fatto inventato.

Come nacque lo scudetto?

Correva l’anno 1920 quando a Fiume si disputò un incredibile e decisivo torneo che cambiò per sempre le sorti del calcio italiano. Legionari, quindi militari contro abitanti del luogo. Per la prima volta nella storia, per la prima volta in assoluto, una squadra aveva lo scudetto appuntato sul petto, per la prima volta senza il simbolo Savoia, nudo e crudo, solo gli italici colori. Era la squadra dei legionari. “L’idea fu di D’Annunzio che amava i simboli – spiega Guerri – e pensava non si potesse correre con coppe in mano e medaglie al collo”. Quell’idea di un tricolore, a forma di gagliardetto, cucito dove batte il cuore, fu opera del sommo vate. E non c’è nemmeno da stupirsi troppo per un genio della comunicazione di inizio ‘900.

Gli slogan e i neologismi di D’Annunzio

“D’Annunzio era davvero un abile giocoliere di idee e parole. Sono davvero tanti gli slogan che ci ha lasciato in eredità. Dai biscotti ribattezzati Saiwa (gli oro Saiwa, e chi non li ha mai mangiati? Ndr.) ma non solo. Difensore dell’italiano come un terzino dell’Inter, primo vincitore del tricolore, dalle contaminazioni linguistiche straniere. Panche anche da “sandwich” a tramezzino che ebbe maggior fortuna di Traidue inventato da Marinetti col quale vinse anche un celebre duello dialettico. D’Annunzio amava le sfide ed era avanti anni luce rispetto ai suoi contemporanei. Durante uno storico scontro linguistico riuscì a zittire Marinetti (anima del futurismo italiano, ndr.): ‘cretino fosforescente’ in perfetto stile futurista chiudendo la diatriba”. La celebre finale, di cui a febbraio 2020 è ricorso il centenario, non vide D’Annunzio in campo nonostante il suo amore viscerale per gli sport. “Li amava tutti, in particolare il calcio che gli italiani avevano importato dall’Inghilterra. Purtroppo perse due denti, nello specifico gli incisivi, in un incidente di gioco durante una partita con gli amici in età giovanile (a Francavilla con un pesante pallone di cuoio cucito a mano proveniente dall’Inghilterra). E allora preferì non giocare quel giorno a Fiume preferendo assistere alla finale”.

 

 

Mister Vate

Sarebbe bello immaginare Gabriele D’Annunzio a bordo campo, paonazzo, spronare le squadre sino all’ultimo italico sospiro alternando scatti dalla panchina del miglior Gattuso a gesta eclatanti di un Mourinho in manette davanti al pubblico (reale) di San Siro. Ma probabilmente le cose non andarono così, nonostante i tempi, quelli sì, di follia a Fiume. “I 500 giorni di Fiume furono una follia (“Disobbedisco. 500 giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920” il libro scritto da Giordano Bruno Guerri, ndr.), dove accaddero cose straordinarie come questo scudetto che resiste ancora oggi, scelto per la prima volta senza il simbolo sabaudo”. Eppure, non mancavano esempi di grande organizzazione. La storia ci ricorda anche come le famiglie dessero in affido i loro bambini ad altre sparse per la Penisola. “Le città più accoglienti furono proprio le emiliane. Ravenna, ma ancor più Bologna che accolse moltissimi bambini”. Ago e filo per cucire un pallone fatto di cuoio e storia. E se proprio deve vincere qualcuno, che sia a strisce nerazzurre. Almeno per onorare il centenario. “Non tifo per nessuno – conclude Guerri -, ma se fossi costretto a scegliere direi Inter. La prima partita che vidi con mio padre fu Fiorentina – Inter, decise Jair. Mi ero ripromesso che avrei tifato per i vincitori”. Appunto, l’Inter che ai giorni nostri potrebbe davvero contendere lo scudetto alla Juve. Sarebbe la chiusura di un cerchio e l’interruzione di un ciclo. L’abito perfetto per il centenario.

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