Visto in tivù: cosa resterà di questo Covid19 e cosa vorremmo non tornasse mai più (il Coronavirus). Ah le teche Rai, il magnifico archivio digitale delle reti pubbliche che tutto il mondo ci invidia e che ci è stato utile compagnia per tutto il periodo della quarantena. Ma non solo, anche Sky ci ha dato dentro sfoderando pregiati pezzi d’artiglieria mediatica.
Partiamo dal servizio pubblico che ha avuto un’idea tanto semplice quanto geniale. Mettere in onda su RaiSport Hd, e lo fa tutt’ora, le partite della Nazionale italiana di calcio, indistintamente, anche quelle facilmente dimenticabili come Italia-Cecoslovacchia di Italia ’90.
La cara vecchia melina
A proposito, stiamo parlando di una partita dai ritmi blandi, dal possesso palla soporifero e dal facile ricorso alla melina, termine quest’ultimo coniato dall’indimenticata Gianni Brera che stava a sottolineare le perdite di tempo tra difensore e portiere che poteva ancora, bei tempi quelli per noi terzini, passargli la palla e fargliela prendere in mano con buona pace del rapace attaccante di turno, il cui inutile pressing veniva reso inerme da quel gesto tanto antisportivo ma utile per portare a casa la partita. E su, ammettiamolo, quanti di noi, in ufficio o in tutte quelle mansioni noiose e ripetitive, non lo fanno di continuo per prendere tempo e tirar tardi fino al magico timbro del cartellino, il triplice fischio prima dell’aperitivo. Ah no, scusate, nella fase 2 ancora non si può dire, a meno che non lo facciate a debita distanza e mascherina muniti.
I bei calci andati
Bei tempi, anni 90’, il Pil in crescita e l’unica preoccupazione da Millennial sono le vacanze estive. Un secolo di storia che mamma Rai ci ha raccontato con episodi memorabili e noi, in questi giorni di reclusione, chiusi in casa sul divano alzarci in piedi ad esultare per il gol di Baggio contro la Nigeria a 2’ dalla fine agli ottavi di finale di Usa ’94 per poi rammaricarci di fronte all’errore dal dischetto dello stesso Baggio nella finale persa contro il Brasile. Oppure, i tre rigori parati da Toldo agli europei olandesi contro i padroni di casa dell’Olanda e il rigore stampato sulla traversa da Di Biagio nella stessa competizione. Nasceva l’incubo dell’Italia dagli 11 metri, di una Nazionale, la nikefobia per dirla alla Freud, aveva maturato la paura di vincere. Un sentimento che accomuna noi comuni esseri umani, mortali e soprattutto latini dove l’emozione gioca un brutto scherzo, dove un secondo posto è già qualcosa. A proposito, ebbi la fortuna di intervistare Arrigo Sacchi per Studio Sport, il tg sportivo di Mediaset, l’indomani l’eliminazione dell’Italia dalla corsa ai mondiali 2018, quella doppia sfida persa con la Svezia che ci ha segato le gambe e riportato indietro il calcio italiano di quasi un secolo di storia.
Arrigo Sacchi, che per molti Millennial rimarrà IL mister della Nazionale
Il mister, nella sala dei trofei che conserva al piano di sopra nella palestra personale della sua villa di Fusignano, mi disse a microfoni spenti: “pochi allenatori possono vantare il titolo di vicecampioni del mondo”. Come dargli torto, spintosi fin sulle vette dell’olimpo pallonaro per sedersi alla destra degli eroi brasiliani Romario e Bebeto. A volte, bisogna davvero saper perdere e farlo in grande stile.
Quella R di Caressa…
L’incubo rigori finisce su Sky Sport che in piena quarantena e a più riprese ha riproposto gli eroi italici di Berlino 2006 con la voce di Fabio Caressa a far da contraltare alla nasali e inconfondibili telecronache di Bruno Pizzul che spesso ha confuso Dino Baggio per Roberto Baggio (eh capirai, tanto a noi consolava la voce più del contenuto). Ma perché proprio le partite dell’Italia? Perché sono un conforto, un bene di prima necessità per il Paese intero, grazie alle quali siamo riusciti a passar sopra alle sfortune più grandi. Un evento che allo stesso tempo ci distrae, ci unisce e ci rafforza, proprio come Cannavaro che mostra i muscoli alzando la coppa sopra il tavolino delle premiazioni davanti ad Angela Merkel. Una forza tamarra che ci rende fieri.
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