Lea Pericoli, signora in campo e fuori

6 Ottobre 2024
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Lea Pericoli, la signora del tennis italiano, è morta all’età di 89 anni. Maestra d’elegenza in ogni suo gesto, dentro e fuori dal campo.

Con Lea Pericoli se ne va – per sempre – un mondo che non ormai non esiste più, un mondo fatto di educazione, stile ed eleganza, che nel tennis si identificava nei gesti bianchi così meravigliosamente raccontati dallo scrittore e giornalista Gianni Clerici. Nata a Milano nel 1935, trascorse l’infanzia ad Addis Abeba, in Etopia, studiò in Kenia ed in giro per il mondo per scoprire a 17 anni in Versilia che il tennis sarebbe stata la sua vita. E che vita.

Una carriera esemplare

Classe e stile hanno caratterizzato tutta la sua storia da record – si legge sul sito della Federazione Italiana Tennis e Padel – 27 titoli all’attivo nei campionati nazionali in singolare, doppio e doppio misto. Nei tornei del Grand Slam, ha raggiunto quattro volte gli ottavi al Roland Garros (1955, 1960, 1964 e 1971) e tre volte sull’erba di Wimbledon (1965, 1967 e 1970). Numero 1 d’Italia per 14 anni tra il 1959 e il 1976, record assoluto, e per altre quattro volte numero 2 (1960, 1961, 1962 e 1973). Ha giocato 29 incontri in nazionale, con un record di otto vittorie in singolare e sei in doppio. Nel circuito internazionale ha vinto a Crans Montana nel 1954, Istanbul nel 1958, Bastad e Lesa nel 1960, Santa Fè nel 1961, Palermo e Lesa nel 1962, Genova nel 1968, Cairo nel 1969 e Roma Canottieri nel 1970. In doppio i suoi maggiori successi sono le vittorie riportate a Montecarlo nel 1964, 1965 e 1966, Bastad nel 1960, Gstaad nel 1974 e 1975. Una signora carriera, una carriera da signora.

 

 

Uno stile unico

Il lascito di Lea Pericoli va oltre la sua carriera sui court di tutto il mondo, i suoi articoli per Il Giornale di Indro Montanelli, e soprattutto oltre anche l’essere diventata la prima donna testimonial per la lotta contro i tumori, dopo averne affrontato e sconfitto uno maligno tra il 1972 ed il 1973. Lea Pericoli rivoluzionò stili ed usanze – adesso si direbbe il dress code – delle giocatrici di tennis, grazie all’incontro con lo stilista britannico Ted Tinling, che a Wimbledon nel 1955 la fece giocare con culotte e sottoveste rosa quando ancora le tenniste indossavano completi bianchi con le gonne lunghe sino alle ginocchia, per poi arrivare a disegnare per lei un gonnellino di visone, un abito di petali di rose ed altri completi sicuramente audaci ma sempre indossati con grande eleganza. Adesso questi completi sono esposti nientemeno nel Victoria & Albert Museum di Londra. Ecco perché il succitato Gianni Clerici la definì La Divina, appellativo prima di lei conferito soltanto alla francese Suzanne Lenglen, forse – anzi senza il forse – la più grande tennista di ogni epoca.

 

 

Sempre dalla parte delle donne

“Ho cominciato a vestirmi così perché mi divertiva – dichiarò in un’intervista a Gianni Mura de La Repubblica – l’ho fatto perché in Italia era molto diffusa l’idea che lo sport trasformasse le donne in muscolose virago senza grazia. Ho fatto una scelta dalla parte delle donne”.

La Pericoli ha insegnato tanto al tennis, così come il tennis ha insegnato tanto a lei, anche e soprattutto quella che nello sport viene definita la cultura della sconfitta. Quando si è sconfitti – sul campo e nella vita – bisogna accettarlo, non ci si deve nascondere. Si deve voltare pagina, guardare avanti, perché c’è sempre per tutti la possibilità di una rivincita, da affrontare sempre con stile ed eleganza. Non come Lea Pericoli – sarebbe impossibile anche provare ad avvicinarsi ad un tale esempio – ma sicuramente prendendo spunto ed ispirazione. Anche e sopratutto nei gesti di tutti i giorni, dentro e fuori dal proprio terreno di gioco.

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