Partita di calcio o partita Iva? Il futuro degli stipendi dei calciatori millennial
La prossima partita del calciatore sarà la partita Iva, pochi principi e tanti proletari.
È una provocazione lanciata tra gli altri dal presidente del Cittadella (serie B) Antonio Gabrielli che lo scorso febbraio ha proposto l’idea, ma l’effetto farfalla potrebbe creare lo stesso terremoto della sentenza Bosman sulla libera circolazione dei calciatori come qualsiasi lavoratore. Come è noto, il rapporto fra le società sportive e gli atleti professionisti è disciplinato dalla legge 91 del 1981 e dalle successive modifiche.
Una legge che, proprio in base alla sua stessa definizione è destinata alla tutela solamente degli sportivi professionisti, cosicché i non professionisti non sono considerati lavoratori subordinati, senza quindi le garanzie dei primi. Le cose stanno però cambiando per i ‘cosiddetti’ privilegiati. Anzi, nel calcio si tratta di una vera e propria nobiltà che sino a pochi anni fa si autotutelava come una casta.
La gabbia dorata della Serie A: gli stipendi
Tanti soldi, privilegi e una gabbia dorata, per alcuni individui spesso nemmeno legati ai risultati. Basti pensare a uno come Berni, terzo portiere dell’Inter, che senza giocare un minuto in serie A si portava a casa 200mila euro l’anno. Per carità, onesto mestierante del mondo del pallone, ma una cifra così per non lavorare fosse data a un carneade in parlamento riempirebbe i forum del dissenso politico per settimane.
Berni non è nemmeno il caso più clamoroso. Dico Mattia Destro ma ne potrei dire molti altri. L’attaccante del Genoa, ex del Bologna, ha giocato una ventina di partite nelle ultime due stagioni (e neppure tutte per intero) realizzando a malapena 4 goal: lo stipendio vale 1,5 milioni l’anno. Forse una ricca eredità, un vitalizio, una vincita inaspettata, non esiste un comune mortale che possa vantare introiti simili senza portare un valore aggiunto alla sua azienda. Ecco forse qualche manager sopravvalutato, ma credo comunque avrebbe vita breve.
‘Stipendi di Serie A’ vs ‘Stipendi di Serie C’
Per il resto, il mestiere del calciatore è ancora un ottimo impiego, peccato che in futuro non sarà più così. Le rivoluzioni partono dal basso e col passare del tempo travolgono le classi superiori. Se in serie A lo stipendio medio è di 700mila euro, in C si arriva a malapena a 25mila annui, ma c’è anche chi prende 1200 euro al mese. «In C ci sono giocatori che partono con le famiglie da Reggio Calabria per andare a giocare a Bolzano, e viceversa – diceva a Tuttosport Cristiano Lucarelli, ex bomber del Livorno e della Nazionale – il tutto a 1200 euro al mese che servono anche per pagarsi le spese».
La sensazione è che i calciatori se la siano anche cercata. Inghiottiti dagli uffici stampa, imbavagliati da contratti che ne impediscono la libera mercificazione del proprio personal brand, si ritroveranno presto ad essere comprimari del business dei grandi. L’abbiamo già visto durante il lockdown. Tagli agli stipendi dal 10% al 40%, okay se ti chiami Cristiano Ronaldo, meno bene se sei il norvegese Martin Palumbo dell’Udinese il calciatore meno pagato in A. Peccato che Ronaldo porti cash e per ora il povero Martin è solo un giovane di belle speranze di cui si parla un gran bene.
Ma si sa la storia la fanno gli eroi, gli altri assistono al succedersi degli eventi. La forza contrattuale è destinata a rimanere nelle mani o nei piedi di chi si può permettere il miglior procuratore, mentre agli altri non resta che aprirsi la partita Iva, fare gli straordinari ed essere disponibili 24h. Correre per gli altri e accettare panchine scomode nel migliore dei casi. Perché la stessa esposizione mediatica sarà appannaggio di chi se la sarà guadagnata sul campo dove le prestazioni portano followers e non viceversa.
L’idea di Andrea Nardoni, FSGC
Dice Andrea Nardoni, coordinatore amministrativo e marketing della Federcalcio San marino (FSGC): «In parte forse la provocazione che lanci tu Corrado può avere un fondo di verità. Nello sport e in particolare nel calcio c’è sempre stata una forbice ampia fra chi muove grandi volumi d’affari e chi purtroppo, nonostante sia sportivo professionista magari di ottimo o grande livello, ne muova meno facendo parte di un contesto meno “visibile”. Per questo il terzo portiere dell’Inter guadagna molto di più di un giocatore che fa la differenza in serie C o di un grande atleta di un’altra disciplina sportiva».
«Il secondo aspetto – prosegue Nardoni – è legato a questa pandemia. Non sappiamo ancora realmente i danni che questa provocherà all’industria sportiva. Ne vediamo qualche effetto nel breve ma nonostante ci sia chi prova ad azzardare ipotesi non sappiamo davvero cosa succederà nei prossimi mesi. Per questo parlare di calciatori a partita Iva mi sembra una provocazione in cui capisco perfettamente la direzione e la logica, ma sulla quale fatico ad esprimermi».
L’idea di un tetto agli stipendi dei calciatori
«È tutto il sistema che necessita di una revisione per quanto concerne i costi del personale, e sicuramente da questo punto di vista stavolta bisogna partire dalla punta della piramide e non dalla base. Serve che i grandi player del settore si siedano a un tavolo per discutere seriamente riforme che tengano in piedi in modo virtuoso il sistema, che già prima scricchiolava. E – conclude Nardoni – non credo sia un caso che in questi giorni il tema del salary cup sia trend topic nel mondo dell’informazione sportiva e calcistica».
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