La gattara è un bipede urbano e notturno che si aggira per stanze disordinate, nutrendosi di delusioni. Ama le carezze da parte di zampette pelose. Il gatto, per lei, è un uomo che è meglio di un uomo. Non le dà il sesso (se non in irriferibili e perversi casi), ma tante fusa e tanta fedeltà, almeno così le sembra.
L’uomo è un oscuro ricordo escrementizio. La gattara è tanto delusa, perché ha tanto amato. Se avesse amato di meno, non sarebbe una gattara. Più ha amato, più è stata delusa, più gatti ha o, se ha un gatto solo, è un gatto che vale tipo cento gatti, un supergattopower che se tramutasse il potere affettivo in forza bruta potrebbe sterminarci tutti noi rifiuti piselluti, tutti tutti, ma per fortuna non lo fa perché il gatto, anche nel caso in cui sia un supergattopower, è pur sempre un gatto, quindi se ne frega.
Una subdola variante della gattara è la gattara in potenza, una donna che in sostanza, pur non avendo gatti, ha raggranellato così tante teste di casso che è come se in casa sua già ci fosse una nube gattiforme che la attende, vaga, minacciosa, ineluttabile. Uno spettro che puzza di pipì di gatto aleggia nelle stanze. La vera gattara è molto calda, bollente, o almeno lo era fino a poco fa.
Brigitte Bardot, dopo aver dato la sua bellezza agli uomini, ha deciso (parole sue) di essere la fata degli animali. Aveva amato talmente tanto, così tanti piselli aveva sgranato, così tante teste di casso l’avevano delusa che ha dovuto necessariamente estendere il suo delirio gattico a cani passeri pecore tacchini blatte ed ermellini. Era necessario. Infatti la gattara è gattara per necessità, quasi per riflesso: colpisci col martelletto il tendine sottorotuleo e la gamba parte per scalciare; deludi tante volte una donna, e dal cielo parte una scintilla da cui si genera un micetto che scende delicatamente, con un volo di piuma, sul divano davanti alla tivù accesa fuori ma spenta dentro. Per la vera gattara, le stagioni hanno i nomi delle cose da gattara. Tipo “Piumone” sta per “inverno”, ma in realtà l’esempio non è del tutto corretto perché le cose da gattara sono molto più complesse, talmente complesse che solo una gattara può riferirle con un linguaggio da gattara. L’aspetto saliente del linguaggio della gattara è la somiglianza con il linguaggio Inuit. Come Gli Inuit hanno infinite sfumature semantiche per la parola “neve”, così le gattare hanno infinite sfumature per la parola “gatto”. In soldoni, quando una gattara dice “gatto”, tu uomo non potrai mai capire cosa diavolo significa per lei. Anche perché tu, a differenza della parola “gatto” per le gattare, hai un solo significato: “testa di casso”.
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