X maggiore di Z, Alpha minore di X e Z. Percentuali e stime di spesa. No, non sono formule matematiche, sono i nomi e i modi con cui gli esperti chiamano e categorizzano le generazioni. Finora ne hanno individuate 5: ci sono i disastrosi baby boomer (nati negli Anni 60, nel pieno del boom economico), c’è la Generazione X (nata invece alla fine della ripresa), i poveri (in tutti i sensi) millennial, la Gen Z (i giovanissimi, appena divenuti maggiorenni e nati negli Anni 00) e infine gli Alpha, arrivati tutti dopo il 2010. Sorge spontanea una domanda: ha davvero senso categorizzare le persone per generazioni?
Le etichette sono utili, ma fino a un certo punto. Il fatto che si utilizzino le lettere per creare delle categorie è un escamotage utilizzato dagli esperti, più che dalle persone comuni (che difficilmente fanno caso alle distinzioni). “Ogni etichetta generazionale funge da scorciatoia per fare riferimento a quasi 20 anni di atteggiamenti, ideologie ed eventi storici – si legge sul blog Kasasa. – Poche persone si identificano come Gen X, millennial o qualsiasi altro nome. Sono termini utili per gli esperti di marketing che tendono poi a ricadere nell’uso comune. È importante sottolineare che fare riferimento a una generazione utilizzando come unico parametro l’età è diventato sempre più complicato. Tra 10 anni, le priorità dei millennial saranno sicuramente diverse”.
La verità dietro agli stereotipi generazionali
Il sociologo britannico Bobby Duffy si è posto la stessa domanda: perché categorizzare le persone per generazioni? Secondo Duffy spendiamo molto tempo a combattere gli stereotipi di genere, o quelli legati al sesso, razza e religione, per poi scivolare su quelli legati all’età. “I millennial sono stati demonizzati come mammoni narcisisti, che spendono un sacco di soldi per un toast con l’avocado ma che non possono permettersi la casa di proprietà – ha raccontato sulle colonne del New York Times – I baby boomer, invece, sono sociopatici egoisti e tecnofobici che hanno rubato il futuro delle giovani generazioni. Ma qual è la realtà dietro agli stereotipi, c’è qualche merito nel vedere il mondo attraverso una lente generazionale?”.
Facciamo un esempio: una ricerca condotta da Javelin ha notato come i millennial non si trovino tutti nello stesso punto della vita, nonostante siano nati negli stessi anni. Alcuni di loro sono ancora nella prima età adulta, lottano per portare avanti la loro carriera e trovare una stabilità, mentre i millennial più anziani sono riusciti a comprare una casa e stanno mettendo su famiglia. La macro categoria è quindi scomponibile in categorie più piccole, e così via, fino ad arrivare ai singoli individui, che sono tutti unici nel loro genere.
Le soluzioni
Non prendere come una scienza esatta la suddivisione in generazioni è il primo passo per deostruire il mito attorno a quell’ammasso sterile di lettere X, Z, Y (i millennial, anche loro hanno una lettera), e A.
Secondo Duffy non sono gli anni in cui siamo nati a determinare i nostri comportamenti, ma meccanismi indipendenti che scandiscono le tappe della vita: “Si chiamano ‘effetti del ciclo di vita’ – spiega – sono esperienze che colpiscono tutti, indipendentemente dall’età, come la crisi finanziaria del 2008 o la pandemia di coronavirus. Gli effetti del ciclo sono cambiamenti che si verificano quando le persone invecchiano o a seguito di tappe importanti, come uscire di casa, sposarsi o avere figli”. L’età è un altro fattore indipendente “Tutti, invecchiando, tendiamo a diventare pesanti e ottusi”.
“Certo, alcuni elementi sono davvero generazionali – conclude Duffy – le nuove generazioni sono meno religiose, ad esempio. Ma molti presunti cambiamenti generazionali sono in realtà guidati dalla crescente disuguaglianza finanziaria tra giovani e anziani. I giovani escono di casa più tardi perché guadagnano meno dei loro genitori alla stessa età e perché le case sono diventate molto più costose, e non perché sono mammoni narcisisti”.