Perché i millennial di Medellín odiano Narcos?

14 Giugno 2020
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Il ronzio delle macchinette per tagliare i capelli va avanti senza sosta. Andrés, Carlos, Alex e Michael lo accompagnano con acute sforbiciate. A tempi alterni, come i maestri strumentisti di un quartetto. L’armonia è ipnotizzante.

È un lavoro di pazienza, il loro. Anche i clienti, pazientemente, attendono il turno seduti su un divano in pelle sintetica nera. Qualcuno osserva i berretti da baseball esposti nelle vetrine che circondano il locale già dal marciapiedi, altri fissano i loro smartphone andando su e giù col pollice ammaestrato. È sera tardi, il 50 Cent BarberShop dovrebbe chiudere a breve ma le persone che percorrono la calle 97 continuano ad affacciarsi con la speranza di trovare una delle quattro poltrone libere.

Barbieri a Castilla. Medellín. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Negli scarsi trenta metri quadri saturi d’umanità della barberia si distingue a mala pena la musica tecno in filodiffusione, fino a quando Alex prende la parola: «Cerca “No me hablen de bala”, Kafu Banton», si rivolge a un ragazzino seduto davanti alla consolle. Sulle note di questo pezzo – “Non mi parlate di proiettili” – entra in scena, in modo del tutto inaspettato, il coro dei quattro barbieri seguiti tono su tono dai clienti. Volti spenti dal peso di una giornata in più addosso, riaccesi dai ritmi reggae e dalla pedagogia dei testi di Banton, noto rastafari panamense.

La vita quotidiana nella Comuna 13 a Medellín. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

La musica non si ferma mai a Medellín

A Medellín è così. Che sia vallenato, reggaeton, salsa, rock, tango, guasca o cumbia si ha l’impressione che la musica non si fermi mai: né nei barrios più blasonati, quelli che qui si sono riempiti in modo straordinario di grattacieli residenziali bellissimi con la vigilanza h24, né in quelli più popolari, dove tutto sembra ricordare che la città progredisce a due o forse anche a tre velocità. Come nella popolosa Castilla, dove quattro maestri strumentisti continueranno a lavorare finché ci saranno teste da rasare o magari da modellare con il taglio «alemán», quello imposto ai soldati del III Reich per dimostrare fedeltà a Hitler, tornato alla ribalta mondiale negli ultimi anni. «Il tedesco, capelli cortissimi ai lati e ciocche più lunghe in cima, è il più richiesto dai ragazzini ispirati ai calciatori più amati: James e Falcao su tutti», rivela Andrés senza staccare lo sguardo dalla chioma di un avventore.

Panorama di un quartiere della Comuna 13. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Cosa pensano a Medellín di Narcos e Netflix?

Mentre parliamo le canzoni vanno avanti e sembrano rivolte all’intero quartiere: «Giovani concentratevi nel vostro studio come priorità», ribadisce uno dei versi di Banton. Echeggiato da tutti i presenti. Testi e ritmi che rimbombano, attraversando i muri ‘nudi’ di mattoni arancioni e calcestruzzo delle case più umili abbarbicate sulle montagne, e rotolano giù per l’intera vallata del Rio Aburrá, come una linfa vitale che consola, rimedia e nutre. Dopo anni di ‘vita italiana’ sono tornato sulle strade di Medellín, la mia città, per provare a intravedere l’impatto del fenomeno Narcos targato Netflix. Per capire come vivono e cosa sognano per la loro terra i millennial paisas, come si chiamano gli abitanti di questa zona della Colombia. Un esercito di ragazzi accomunati da un forte desiderio di rivalsa per quello che irreparabilmente hanno dovuto subire.

Scale elettriche all’aperto e panorama dalla 13. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Quartieri cool, movida e primavera

«Nonostante la conformazione geografica – siamo ‘chiusi’ dalla montagne – non abbiamo limiti», ribadisce a questo proposito Catalina Patiño Gil, professoressa nata e cresciuta qui. Il nostro incontro avviene lungo l’avenida Nutibara, tra Laureles e Belén, dopo aver cenato una deliziosa crepes rivisitata con fagioli, carne, avocado, platano e qualche altro ingrediente che di francese aveva ben poco. Passeggiando tra i ristoranti e i locali che pullulano nella via – siamo a pochi isolati da quello che la rivista Time Out ha incoronato come il terzo quartiere più cool del mondo nel 2018: Nueva Villa de AburráCatalina sospira e sorride quando parla della sua esperienza. I suoi 35 anni di vita sono una fotografia fedele di quello che è stata la Città dell’Eterna Primavera, com’è nota, e quello che è oggi.

Artisti di strada nella 13 a Medellín. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Medellín e il barrio Pablo Escobar

Ha vissuto per diversi anni accanto a quell’insieme di casuccole chiamate barrio Pablo Escobar, ora visitatissime dai turisti che sbarcano a Medellín alla ricerca di un selfie con i relitti del Cartello. «Qui si respira pace» – «aquí se respira paz» – recita un murales di benvenuto con l’effigie del delinquente, sovrastato da una statua di Maria. Testo e soggetto sono rimasti gli stessi negli anni ma da quando c’è stato il boom dei narco-tour, lo stencil con le lettere blu maiuscole sul grigio intonaco della parete si è trasformato in un più articolato graffiti. Un omaggio spontaneo – che oggi è marketing per il quartiere – da parte di alcuni degli abitanti, che in cuor loro alimentano il mito del benefattore che sborsò il denaro per le loro case.

«È chiaro che quel posto era una riserva di soldati. Se avesse veramente voluto aiutare queste persone avrebbe certamente potuto costruire un quartiere pensato, magari da un ingegnere, e con un piano urbanistico serio», dice la prof, che senza troppi giri di parole e con tono più deciso, ribadisce il concetto: «Era semplicemente un modo per comprare coscienze, il modo peggiore per calpestare la dignità dei più poveri».

Alcune baracche viste dal metrocable. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Occhi neri e sguardo cosmopolita

Catalina, pelle chiara, capelli lunghissimi e sorriso ampio, incarna lo spirito cosmopolita dei suoi coetanei concittadini. Ha la mente aperta al mondo: ha vissuto per un semestre in Sudafrica per perfezionare il suo inglese e ora abita a Medellín con Thomas Carvalhaes, brasiliano che ha scelto di seguire l’amore fin qui. Anche lui, come tutte le anime che ho incontrato durante il mio viaggio, storce bocca e naso quando si parla del turismo arrivato in città grazie alla fortunata serie. Proprio lui che, quando l’aveva conosciuta durante una festa a Capetown, davanti agli occhi neri e ‘sorridenti’ della trentacinquenne aveva provato a fare il brillante parlando degli ultimi episodi di Narcos.

Turisti per e strade della periferica Comuna 13. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

«Spirito di ammirazione» vs «rispetto»

«C’è un aspetto importante da sottolineare», spiega adesso in perfetto spagnolo, descrivendo ciò che ha percepito: «Quando visiti un campo di concentramento in Germania tu vai lì con l’idea di vedere i luoghi e con un atteggiamento di rispetto. Al contrario – prosegue il millennial – molte persone che vogliono vedere i luoghi di Escobar, lo fanno con uno spirito di ammirazione verso il crimine, quindi mancano di rispetto alle vittime e alla città».

Parole condivise anche dal ex sindaco Federico Gutiérrez Zuluaga, che è riuscito a far chiudere temporaneamente un museo in memoria del narcotrafficante. Era sprovvisto di permessi e per di più era amministrato da Roberto Escobar, ‘el Osito’, fratello di Pablo. «È un tema di rispetto delle vittime», ha detto Gutiérrez. «Tutti i narco-tour, in particolare quello gestito dalla famiglia stessa fanno apologia del delitto. Fanno vedere questi personaggi come se fossero degli eroi ma qui gli unici eroi sono le vittime e chi li ha affrontati», ha ribadito l’ex primo cittadino.

Comuna 13, la vita nel quartiere. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Medellín, innovazione e mango

Sono tornato da pochi giorni in quella che per anni e anni è stata l’urbe più violenta del pianeta e già percepisco che il vero cambiamento si muove da qui: dai piccoli passi in avanti delle persone che popolano le periferie. Non solo dal premio di città più innovativa del mondo, vinto nel 2013. O dal buon sistema di trasporto urbano con metro, cabinovie e bike sharing sul modello europeo.

E nemmeno dagli edifici di lusso del Poblado, regno della movida a cinque stelle attorno al Parque Lleras, con le boutique degli stilisti locali nelle rinominate via Primavera e via Provenza. Né dalla bellezza di Las Palmas, Envigado e Sabaneta. Né dai mega centri commerciali spuntati qua e là con la stessa facilità con cui lungo le strade cittadine crescono robusti e rigogliosi alberi di mango. È evidente che si tratta di una metamorfosi ancora in atto: difficile da definire nei suoi confini ma penetrante come l’aria che si respira in questa metropoli a 1.500 metri d’altitudine dove le Ande, colonna vertebrale delle Americhe, cominciano ad alzarsi.

Un bar nel quartiere della Comuna 13. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

«Io ricordo Medellín e quell’elenco alla radio»

Ricordo perfettamente come a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, ogni mattina presto, un giornalista con voce impostata e con la velocità di esecuzione di una telecronaca sportiva leggesse alla radio un lungo elenco di persone. Tutti i giorni erano varie decine di nomi e cognomi, seguiti da una via e da una tipologia di arma: da sparo o bianca. Erano quelli che quotidianamente venivano uccisi nella guerra personalissima dei narcos. Famiglie ridotte in brandelli. Una generazione di giovani decimata e altrettante madri a lutto. È facile capire perché quasi a nessuno, qui, piace l’idea che molti turisti stranieri abbiano deciso la loro meta grazie al fascino narrativo dalla serie di Netflix. Lo sguardo dei paisas – di qualsiasi generazione – cambia quando chiedi loro cosa ne pensano.

Quartiere della Comuna 13. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Questione di simboli, da abbattere

«Sono tutti scenari che senza dubbio non si possono negare, sono fatti realmente avvenuti ma pubblicizzarli non fa bene alla città. Forse proprio così viene incentivato il narcoturismo, che non si ferma alla sola visita de La Catedral, la tomba di Escobar o l’edificio Monaco, prima che lo abbattessero». A puntare il dito contro l’opera apprezzatissima dal pubblico è Johan Esteban Ortiz, maggiore della Policia Nacional, ora in pensione nonostante i suoi 38 anni.

«Alcune volte capita che il turista creda che sia legale consumare droga qui, proprio per la disinformazione che ha in qualche maniera miticizzato il fenomeno». L’ex ufficiale, nato e cresciuto anche lui nella periferia di Medallo – altro appellativo – è sicuro: «Per noi non è un icona, non è un mito, è solo un bandito del passato». Ripete, mentre con lo sguardo scorge una delle tante pattuglie in motocicletta che controllano il viale La 68, fulcro della vita notturna della Comuna 5, Castilla, uno dei sedici municipi in cui è divisa la città.

Il quartiere museo della Comuna 13: foto

La Comuna 13, il conscious rapper e i graffiti

Una in particolare, la Comuna 13, sta sperimentando tra mille difficoltà la trasformazione più straordinaria all’interno di Medellìn. Ancora al centro di controverse dispute tra bande criminali, si sta affermanto come meta irrinunciabile per chi vuole assaporare i barrios, così come sono. Appena fuori dalla fermata della metro San Javier vieni travolto dai richiami dei venditori ambulanti, che ti offrono di tutto: dal mango verde con sale e limone, allo spiedino di carne grigliato alla carbonella.

Dall’alto del metrocable – le cabinovie – si capisce bene quanto sia ancora ‘buia’ questa faccia della città. Le baracche di legno e lamiera, però, frutto delle invasioni di migliaia di rifugiati interni, sono sempre meno. E adesso sono collegate con il resto della metropoli. Anzi col mondo. Come dimostra la storia di Santiago Cano, noto come Rapza, conscious rapper e leader sociale ricoperto di tatuaggi. Con i suoi video su Youtube raggiunge decine di migliaia di persone ed è arrivato ad esibirsi in Spagna con il re della scena hip hop iberica, Kase-O.

Casa Kolacho. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Sport, omicidi, leader sociali e pregiudizi

«Con la musica sono arrivato a coloro che avevano idee preconcette. Perché quelli che provengono da qui sono visti con pregiudizi», racconta Rapza al nostro appuntamento davanti al campo di calcio di El Salado, dove stanno giocando una partita i ragazzini del Club Semillas de Vida y Paz. Altro bell’esempio di come i paisas hanno preso per mano il loro futuro: i giovani atleti sono allenati da Willinton Cano, ex calciatore professionista, oggi leader sociale che ha lasciato tutto per dedicarsi a tempo pieno ai figli di un quartiere che sembrava senza speranza fino a pochi anni fa.

Rapza era uno di loro, fino alla depressione per l’omicidio di uno zio. «Non ho mai scelto la via della delinquenza perché la musica mi ha catturato. Mi permette di raccontare i ragazzi cresciuti qui, anche quelli stessi delle gang. Dare voce a chi è senza voce», afferma l’artista che oggi, dopo lunghi periodi di esibizioni sui bus, è diventato insegnante all’interno di un progetto che punta a riscattare altri adolescenti grazie alla musica.

Comuna 13 – Casa Kolacho. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Dal narco-tour al graffi-tour: metamorfosi

Quando insieme a Tatam – altro rapper figlio della Comuna 13 – arriviamo in cima alla collina de ‘Las Independencias‘, ci accolgono le note tropicali sparate a tutto volume dalle finestre aperte di un’umile casa su due livelli, con le pareti azzurro cielo. A pochi metri c’è un complesso di scale elettriche all’aperto che si arrampicano su tra le casettine. Un servizio unico nel mondo, che ha portato soprattutto forestieri nel quartiere. Tatam fa parte del collettivo Casa Kolacho, un gruppo di sbarbati che porta avanti la cultura hip hop come strumento di riscatto: musica ma anche graffiti. E per finanziarsi fanno da guide ai turisti in quello che ormai è stato battezzato come il graffi-tour.

Tutto in nome di Kolacho, 19enne ucciso dalle bande dieci anni fa. La sua unica colpa era quella di vivere nel lato sbagliato della strada. Oggi le cose sono cambiate. E continuano a cambiare. Attorno alle scale elettriche è esplosa l’espressione di un popolo e le pareti hanno un volto e una voce. «Nasce tutto dai murales delle tifoserie dell’Atletico Nacional e dell’Independiente Medellín e rapidamente si è trasformato in un fenomeno artistico. Tirate fuori le reflex senza paura – assicura – perché l’unico pericolo qui è quello di finire la memoria o scaricare la batteria».

Tatam per le strade della Comuna 13. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Le tonde sculture di Medellín

Lo sport, le arti e specialmente la musica: la sua azione su Medellín è lenta ma sorprendentemente efficace. Pare che ritmi e testi stiano levigando le coscienze delle nuove generazioni di paisas. Come quel flusso continuo delle acque diafane del fiume che nel tempo aveva levigato il letto di pietre bianche ed enormi come uova preistoriche, raccontato da Gabriel García Márquez nell’incipit del suo capolavoro. Anche se qui, più che al Premio Nobel della letteratura originario della zona caraibica della Colombia, si guarda al maestro Fernando Botero che tra queste montagne verdi è nato e cresciuto.

Molte delle sue tonde sculture sono apprezzabili qua e là lungo le strade del centro storico. Fino alla conclamata piazza Botero, dove ventitré giganti di bronzo donati dall’artista convivono notte e giorno con decine di passanti. Segno che la rinascita della città è culturale ma anche ricordo di quel passato impossibile da dimenticare. Come la statua dell’uccello «monumento a la imbecilidad» di piazza San Antonio. Chiamata così dall’artista stesso dopo che il 10 giugno del ’95 venne quasi totalmente distrutto da un attentato dinamitardo che uccise 29 persone durante un concerto. Ancora la musica, dunque: che qui è stata colonna sonora anche nei momenti più dolorosi.

Medellìn, Museo Casa de la Memoria. Foto Gabriella Maugeri e Stiben Mesa Paniagua

Medellín, una donna sopravvissuta

Il loro ricordo, come quello di tutte le vittime che questa città testarda si rifiuta di dimenticare, è custodito e raccontato nel Museo Casa de la Memoria: il primo luogo da visitare per chi vuole abbracciare davvero questa terra ferita e i suoi abitanti. Perché l’intreccio di calles, circulares e carreras che avvolge questa vallata sempre verde, racchiude un mistero fitto, quasi insondabile. Lo sguardo di Medellín sembra non essere cambiato dopo il mega spot che Netlflix ha fatto alla città.

Le lusinghe del turismo andranno bene se entreranno in sintonia con il suo sguardo di sempre, quello profondo, difficile da decifrare ma maledettamente seducente. Come gli occhi di una donna forte e consapevole: sicura di sé, nonostante le sofferenze patite nel passato. Ferite curate e portate addosso con discrezione. Spesso celate proprio a chi quello sguardo cerca di scrutarlo senza il dovuto rispetto. Mettere piede su questo pezzo di mondo vuol dire innanzitutto accettare un compromesso: questa città è una lei, antitetica per natura ma con l’atavico potere di ridare respiro a chi la vive.

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