L’80 per cento dei viaggiatori nel mondo tocca il 10 per cento delle destinazioni. Il rischio overtourism spiegato bene
L’overtourism, un cancro che rischia di distruggere l’ambiente ma anche quello che per i millennial è un vero e proprio bisogno primario, quello di viaggiare. Tratto da Greenkiesta
Nel dibattito sempre più acceso e consapevole sull’overtourism, in Italia è passato quasi inosservato un annuncio fatto settimana scorsa dall’amministrazione di Amsterdam. Allo stato attuale, il limite annuo di navi da crociera che possono attraccare al centralissimo Passenger Terminal Amsterdam (Pta) è di centonovanta. Questa soglia, scriveil comune, dovrà scendere a cento dal 2026: quaranta delle imbarcazioni che non potranno più fermarsi nella capitale verranno dirottate verso Rotterdam, mentre le altre dovranno cambiare piani.
L’obiettivo a lungo termine è quello di vietare totalmente l’ingressodelle grandi navi turistiche a partire dal 2035, anno in cui aprirà un nuovo terminal – più piccolo rispetto a quello attuale – situato a circa ventisei chilometri dalla città. Il piano annunciato da Amsterdam prevede anche un altro elemento: entro il 2027, tutte le imbarcazioni attraccate al terminal passeggeri dovranno utilizzare esclusivamente l’alimentazione elettrica da terra, rinunciando ai (più inquinanti) generatori di bordo.
C’è una stima fondamentale da memorizzare quando si parla di overtourism: l’ottanta per cento dei viaggiatori visita solo il dieci per cento delle destinazioni presenti sul Pianeta. E Amsterdam è una di queste. Dopo anni trascorsi a incentivare una forma di turismo sregolata, iper-standardizzata e culturalmente poco arricchente (da entrambi i lati), nel 2020 la capitale olandese si è accorta di essere con le spalle al muro. La reazione immediata ha portato al bando degli affitti brevi (con Airbnb, Booking e simili) nei tre quartieri più frequentati della città, ma la corte suprema amministrativa ha poi giudicato illegittima la misura. Uno stop che, nell’aprile 2024, non ha impedito al consiglio comunale di esprimersi per il divieto alla costruzione di nuovi hotel nell’area urbana.
Tornando alle restrizioni per le navi da crociera, l’annuncio di Amsterdam contiene due aspetti emblematici, soprattutto a livello di forma. Il primo riguarda la consapevolezza, da parte dell’amministrazione, dell’impatto economico negativo della misura. Un conto è concepire il minor guadagno come “rischio calcolato”; un altro è annunciare questa conseguenza con chiarezza, senza mezzi termini, mettendo in discussione i traguardi economici e numerici alla base del lavoro degli assessorati o dei ministeri che si occupano di turismo. |
«Questa decisione avrà conseguenze finanziarie. Per esempio, i turisti spenderanno meno soldi in musei, ristoranti, negozi ed escursioni, e ci sarà un minor impiego di carburante per le navi. Inoltre, gli introiti dalle tasse di soggiorno e i pagamenti in qualità di azionista dell’Autorità Portuale», si legge nel paragrafo “Economic consequences” del comunicato stampa dell’amministrazione comunale. Per risolvere problemi grandi e pervasivi bisogna stravolgere il paradigma dominante – presentato subdolamente come unica alternativa esistente – a costo di intaccare il proprio status e il proprio benessere economico. Vale per l’overtourism e vale per la crisi climatica, due temi che hanno comune anche un altro fattore: le soluzioni costano e, senza una regolamentazione equa e corretta, rischiano di impattare sulle classi meno abbienti.
Il secondo aspetto interessante dell’annuncio di Amsterdam riguarda l’unione tra le politiche per arginare l’overtourism e le misure contro l’inquinamento atmosferico e le emissioni di gas serra: «Il consiglio comunale vuole una città vivibile, pulita e sostenibile. La crociera in mare è una forma di turismo inquinante, e contribuisce in termini di emissioni e di affollamento della città», ha detto la vicesindaca Hester van Buren.
Turistificazione di massa e crisi abitativa sono, giustamente, due temi che devono per forza essere inseriti nella stessa conversazione, perché il primo problema tende ad aggravare il secondo. Il passo successivo, come dimostra il nuovo modus operandi di Amsterdam, è fare la stessa cosa con le questioni “verdi”. Un altro caso recente riguarda Copenaghen, che offrirà cene al ristorante, escursioni in kayak e visite ai musei ai turisti che si sposteranno in bicicletta o con i mezzi pubblici e che parteciperanno a iniziative per l’ambiente (la cura di un orto urbano o la raccolta dei rifiuti, per esempio).
Non esistono percentuali certe sull’impatto climatico del settore “travel & tourism”. Certi studi parlano di un contributo del cinque per cento sulle emissioni globali, altri del dieci per cento, altri ancora dell’otto per cento. Possiamo dire con certezza due cose: la prima, appunto, è che la forbice del dato generale è tra il cinque e il dieci per cento, la seconda è che il comparto in questione è responsabile di almeno il venti per cento delle emissioni mondiali nei trasporti. Per restringere il campo, possiamo citare un’altra stima dell’International council on clean transportation: una nave da crociera emette una quantità di gas serra nove volte superiore rispetto a un volo transatlantico. |
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Le previsioni dell’Unep (il programma delle Nazioni unite per l’ambiente) sull’impatto ambientale e climatico del turismo nel 2050 sono allarmanti: +154 per cento nel consumo di energia, +131 per cento nelle emissioni di gas serra, +152 per cento nel consumo di acqua, +251 per cento nello smaltimento dei rifiuti solidi. Un viaggio, che ci piaccia o no, non è mai davvero ecosostenibile: esistono modelli diversi, basati sul turismo lento e a basso impatto, ma sono inseriti in un contesto socio-economico orientato al profitto immediato e poco incline a un cambiamento profondo.
Ultimamente si parla molto di Barcellona, una metropoli che – a differenza per esempio delle città d’arte italiane – è stata travolta dai turisti in modo repentino e innaturale, complici la crescita delle offerte di voli low cost e degli alloggi tramite Booking, Airbnb e piattaforme simili. Il sindaco socialista Jaume Collboni vuole vietare queste soluzioni di affitto a breve termine dal 2029 (non rinnovando le licenze), e parallelamente la città catalana sta diventando il cuore globale di una nuova ondata di manifestazioni contro il turismo di massa.
I dati su Barcellona confermano quanto l’overtourism possa impattare sulla sostenibilità ambientale di una città. Secondo il Wwf, la metropoli catalana ha il secondo tasso più alto al mondo di produzione di rifiuti plastici, che finiscono dritti nel mar Mediterraneo; il trentotto per cento del bottino catturato dai pescherecci nelle acque tra Barcellona e Vilanova i la Geltrú è rappresentato da plastica. E non è tutto. La maggior parte dei passeggeri delle navi da crociera, stando a uno studio dell’università di Barcellona, visita la città per circa cinque ore, spende in media cinquantasette euro a testa e torna in cabina a dormire durante la notte. Significa che il loro impatto ambientale è più alto rispetto al loro contributo economico: è anche qui che la corda si spezza. Intanto, sempre a Barcellona, le crociere sono responsabili del 28,5 per cento delle emissioni di ossido di azoto e del 3,5 per cento dell’inquinamento da polveri sottili. |