Storie di Millennial al confine con la guerra (e adottano una famiglia di profughi ucraini)
Questa storia parla di un viaggio al confine tra l’Ucraina e la Romania. Parla di due millennial non ancora trentenni spinti dal desiderio di “esserci”, di testimoniare la fuga dalla guerra. Un diario di confine che termina con un ritorno a casa in compagnia di una famiglia di profughi, mamma Lilia e i suoi due figli, Maria e Miro.
È sabato pomeriggio a Milano, una di quelle giornate che annuncia l’arrivo della primavera. Fiori e colori sembrano parlare di una rinascita. La primavera porta con sé quella sensazione molto Fresh Feeling degli Eels.
«È stata una decisione di petto», dice Francesco Perruccio, «all’improvviso in una giornata qualunque di lavoro mi è arrivato un messaggio da Umberto con scritto: “Ascolta, ma se andassimo in Romania ad aiutare i profughi? Partiamo domani”. All’inizio ero un po’ incerto, però mi sono reso conto che avevo l’occasione di dare un aiuto concreto. Il giorno dopo siamo partiti».
PutinPeace, da Instagram alla trincea
«Con il fotografo e amico Fabrizio Spucches avevamo aperto la pagina Instagram PutinPeace» racconta Umberto Cofini, professione art director, «e abbiamo voluto documentare dal vivo quello che stava accadendo. Grazie ad Andreea (la fidanzata di Fabrizio) abbiamo individuato una zona in Romania, Sighetu Marmației, al confine con l’Ucraina e siamo partiti. Decisione semplice e improvvisa, in fondo a 29 anni è inutile ragionarci sopra troppo. Siamo giovani, possiamo andare a documentare e a dare una mano a queste persone, nulla ci tratteneva».
Condividere l’emozione
«Fabrizio Spucches si è fermato due settimane, mentre io e Francesco purtroppo avevamo soltanto pochi giorni a disposizione. Avevo bisogno di un compagno di viaggio, dodici ore di macchina sono tante. Ma desideravo che Francesco venisse con me anche per condividere l’impatto emotivo. Quello non era certo un weekend con gli amici. Abbiamo avvertito entrambi il bisogno di sentirci “vivi” e soprattutto utili. Così siamo arrivati al confine.
A Sighetu Marmației c’è un ponte che divide l’Ucraina dalla Romania. È un simbolo: è il confine tra la guerra e la pace dell’Unione Europea. È stato il nostro primo vero contatto con i profughi. Ci fermavamo, chiedevamo se avevano bisogno di una mano, se potevamo fare foto e interviste.
In quel momento, guardando la moltitudine di donne, bambini e anziani che attraversavano quel ponte con i loro scarni bagagli radunati poco prima di scappare da casa, ci siamo resi conto davvero della disperazione, della fatica. Del dolore».
Diffidenza e accoglienza
«La maggior parte delle persone era spaventata e diffidente di fronte a telecamere e fotocamere. Miro è stato uno dei primi a essere intervistato: ha 14 anni e abita a 10 km da Kiev. È scappato da casa con la mamma (Lilia) e la sorella (Maria). Il papà sta combattendo.
Miro si è lasciato andare. Aveva bisogno di attenzioni, voleva che noi lo stessimo ad ascoltare. Ci ha raccontato che non sapevano dove andare perché non avevano nessun parente fuori dall’Ucraina. E come se non bastasse la sorella aveva perso il passaporto nella fuga. Miro, Maria e Lilia portavano solo due zainetti e nient’altro. Non avevano soldi, non avevano vestiti. Miro, Maria e Lilia sarebbero venuti in Italia con noi, ma non lo sapevamo ancora».
Empatia per immagini
«La nostra prima giornata è trascorsa tra foto, dirette sui social e interviste ai profughi.
L’unica cosa che abbiamo cercato di fare è stata entrare davvero in contatto con queste persone, volevamo raccontare la loro storia anche solo attraverso uno scatto.
Immagini che alla fine compongono un reportage, anche se Fabrizio Spucches si è concentrato sui suoi tipici ritratti “parlanti”. Attraverso una sola immagine riesce a raccontare la persona.
Abbiamo conosciuto anche una fotografa italiana, Lavinia e molti altri volontari giunti al confine. La Croce Rossa della Romania ha creato un posto sicuro dove accogliere i profughi, ai quali offre cibo, medicine, coperte e sostegno».
Dare un passaggio alla speranza
«Ci siamo resi disponibili fin da subito ad adottare qualche famiglia da portare a Milano. E in qualche modo la sincronicità ha fatto sì che incontrassimo di nuovo Miro presso un monastero dove eravamo andati a fare qualche foto. È stato piuttosto diretto nel chiederci di venire con noi, assieme alla sua famiglia. Cercavano un posto dove andare, un posto sicuro per ricominciare. Abbiamo fatto qualche telefonata e siamo ripartiti.
Il ritorno non è stato facile. La nostra auto era piccola, loro erano devastati dall’assenza di notizie del papà e hanno avuto diversi momenti di crisi emotiva.
Stavano lasciando il loro Paese assieme a due sconosciuti per arrivare in un posto altrettanto sconosciuto, senza parlare una sola parola di italiano».
Piccoli boicottaggi
«La coda al confine tra Romania-Ungheria è stata sfinente. Alla dogana, non potevano passare le auto con a bordo profughi ucraini. La situazione era tremenda. Macchine in coda, nessuna assistenza. Sembravamo dei piccoli carri bestiame. E così abbiamo passato altre 10 ore. Ma questa situazione critica in verità è stato anche un momento di condivisione e socializzazione. Le persone si confrontavano, si incoraggiavano a vicenda e si passavano i viveri tra di loro. Si respirava solidarietà e, per noi è stata l’occasione di ascoltare decine di storie.
Dopo aver passato la notte in un hotel in Ungheria siamo ripartiti. Abbiamo attraversato la Slovenia e siamo finalmente arrivati in Italia. Un sollievo: perfino le autostrade italiane erano rassicuranti. La temperatura primaverile ha fatto sentire noi a casa e i nostri ospiti più tranquilli».
Un tampone e un letto caldo
«A Milano ci hanno indirizzati a Casa Jannacci, un luogo destinato all’accoglienza dal Comune di Milano. Ma non era ancora pronta a ospitare famiglie di profughi. Alla Croce Rossa di Bresso, Miro e la famiglia sono stati visitati, poi accolti e accompagnati in una struttura di emergenza.
Il nostro viaggio era finito. Nell’impotenza che si prova di fronte a una guerra, eravamo comunque contenti di aver aiutato, scattato foto documentato la situazione critica. Di certo l’emozione più forte è stata quella di salvare una famiglia.
Eravamo partiti a cuor leggero. Chi è giovane pensa di essere invincibile. Congedarci dalla famiglia a Bresso è stato molto difficile. D’altronde abbiamo condiviso insieme un’esperienza che ci ha segnato per sempre».
I ragazzi stanno bene
«Adottare una famiglia di profughi ucraini, per noi significa oggi andare a trovarli la domenica. Stiamo cercando indumenti da portare. I ragazzi stanno bene e ci stiamo attivando per trovare un lavoro alla mamma. Sarà dura, ma cerchiamo di regalargli una nuova primavera».
To be continued…
Colonna sonora del racconto: I’ll Carry For You di Chip Taylor: «I`ll carry for you and You’ll carry for me. Sisters of the same love, same moon up above».
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