La provincia è il vero centro. Intervista al segretario generale dell’Uspi
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Di seguito l’intervista del nostro direttore, Enrico Dal Buono, al Segretario Generale di Uspi, Francesco Saverio Vetere.
Ci siamo chiesti quale fosse la realtà odierna dell’editoria di provincia, e a tal proposito abbiamo intervistato Francesco Saverio Vetere.
Dal 1999 è segretario generale dell’Uspi (Unione Stampa periodica italiana), che raccoglie oltre 3500 piccole e medie testate, tradizionali e online, e le supporta in ogni aspetto del loro lavoro. Nella convinzione che l’editoria di prossimità sia un patrimonio informativo da preservare per un Paese in cui è la provincia a essere il vero centro. Per conservare questo patrimonio bisogna trasformalo. Il giornalismo è uno specchio: per funzionare deve riflettere l’immagine del mondo che cambia.
Cosa può salvarci da un presente tanto traumatico?
La provincia può essere la nostra salvezza. Quando sei in crisi ti liberi da tutto ciò che è posticcio, ti rivolgi a ciò che sei davvero: e quasi ognuno di noi, scava scava, è fatto di provincia. Anche io sono tornato in Calabria, al mio mare, qui dove c’è il senso profondo di quello che ero, di quello che sono, e pure di quello che sarò.
In Italia conta di più la metropoli o la provincia?
Nazioni come Francia e Inghilterra hanno una base centralistica. Ci sono Londra e Parigi, e poi c’è il resto, che gli ruota attorno. L’Italia, come la Grecia o la Germania, è geneticamente policentrica. La provincia è il senso profondo del nostro Paese. Ci sono storie e culture diversissime: mi piace pensare che siano anche complementari.
Qual è il compito della cultura rispetto alle trasformazioni socioeconomiche che stiamo vivendo?
Per Hegel la filosofia è come la civetta di Minerva, che inizia il suo volo al crepuscolo, quando il sole è già tramontato. Voglio dire che noi assistiamo a un’evoluzione rispetto alla quale non possiamo fare un bel nulla. Non possiamo illuderci di adeguare la Storia alla nostra visione del mondo. Dobbiamo essere noi ad adeguarci alla Storia, al di là di ogni giudizio di valore personale.
E allora la Storia come sta cambiando l’informazione?
Dobbiamo capire se la forma giornale è quella adatta al futuro. Con la testata registrata presso il tribunale, il direttore responsabile, il colophon e altre amenità burocratiche. Più in generale, dobbiamo capire quanto le notizie arriveranno ancora al pubblico grazie a un mediatore informativo. Una volta c’era IL giornale, che catalizzava l’attenzione. Oggi l’informazione è così complessa e articolata da rendere evidentemente marginale la forma giornale. Anche la tv e la radio continueranno a essere profondamente modificate: probabilmente internet sarà il contenitore di ogni media informativo.
Come ha influito la pandemia su questo processo?
Nell’ultimo anno e mezzo siamo certamente migliorati per quanto riguarda l’utilizzo della tecnologia. Direi che abbiamo più stima di internet. Abbiamo capito che è un mezzo che ci può consentire di vivere meglio. Non so se quest’intervista, nel 2019, sarebbe stata fatta su Meet. Abbiamo imparato cose nuove, soprattutto che si può lavorare in modo diverso, modellare la routine sulle nostre inclinazioni, costruire una vita lontana dall’ufficio. Questo cambiamento secondo me è irreversibile. Perché ha intercettato il desiderio umano di essere liberi. Oppure, più prosaicamente, di essere meno stressati.
Cioè… Di tornare in provincia?
Diciamo…di affrancarsi dalla frenesia della metropoli. Mi auguro che ci sia una deurbanizzazione. Ma non so dire se il ritorno nelle provincie e nelle città natali a cui abbiamo assistito ultimamente sia una congiuntura passeggera o una condizione stabile.
L’editoria di provincia ha paradossalmente più chance di sopravvivere rispetto a quella nazionale?
Il giornale di prossimità viaggia sul principio della stampa utile. Se racconta notizie false viene subito scoperto. Le fake news hanno vita dura in provincia. Perché c’è un rapporto diretto e molto forte col suo pubblico, non si scherza. La gente in teoria può andare a controllare sul posto, cioè dietro casa. Il segreto dell’editoria locale è sempre stato quello di raccontare cose vicine ai lettori. Nel nostro mondo globalizzato e complesso, il cui carico informativo è tendenzialmente ingovernabile dal cittadino comune, il giornale di prossimità analizza una porzione di realtà limitata, ancora verificabile dal lettore medio. Anche e soprattutto nell’ambito dell’editoria online i giornali che crescono di più in assoluto sono quelli provinciali.
Qualche numero?
Solo in Grecia, già nel 2000, c’erano circa 5 mila testate locali. In Italia, il doppio. La maggior parte di queste testate si sono spostate sul web. La rete di informazione territoriale, soprattutto a livello provinciale, è il vero patrimonio informativo del nostro paese. Assicura standard di qualità tenendo conto degli scarsi mezzi a disposizione. Penso ad esempi come il gruppo City News o a Fanpage, entrambi iscritti a Uspi, che crescono grazie a una grande competenza nell’utilizzo dei motori di ricerca e una presenza efficace sui social.
Che cosa li differenzia da altre realtà meno fortunate?
Non sono giornali cartacei digitalizzati, sono giornali pensati appositamente per internet. Perché porgere le informazioni sul web è molto diverso dal porgerle sulla carta. Bisogna scrivere in una maniera diversa rispetto al giornalismo tradizionale. Il giornalista oggi deve sapere cose profondamente diverse rispetto a vent’anni fa.
E Uspi come supporta questo processo di trasformazione?
La nostra idea è di favorire l’ulteriore sviluppo dell’editoria territoriale online e soprattutto di farne crescere i fatturati. Dato che, almeno a oggi, l’unico provento viene dalla pubblicità, la presenza delle agenzie pubblicitarie è fortissima. Per ora assistiamo a una notevole crescita di lettori, purtroppo non proporzionale alla crescita dei fatturati. Vorremmo creare un sistema economico in grado di assumere giovani e di investire in tecnologia.
Come?
Facciamo lobby con le istituzioni per riequilibrare il rapporto con le concessionarie pubblicitari. Favoriamo la formazione, insieme al nostro prezioso partner tecnologico 22HBG, così da migliorare gli standard e da dare gli strumenti tecnici adatti ai tempi che cambiano. In generale, i giornalisti devono affinare le loro competenze in termini di SEO, cimentarsi con la composizione di contenuti video e audio, adeguare la propria scrittura ai nuovi media.
Il sistema editoriale italiano è al passo con i tempi?
Per niente: va riformato completamente perché ha strutture e leggi vecchie. Alcuni vogliono vivere ancora nel Novecento. Non a caso, l’ordine dei giornalisti nasce su impulso dei gesuiti, come forma di controllo. Nel corso dei decenni si è creato un sistema di collusione tra ordine dei giornalisti, sindacato e grandi editori, il cui obiettivo comune è quello di autotutelarsi. Di recente, i player globali hanno portato una mentalità nuova che però purtroppo si scontra con la collusione di cui parlavo. Certi condizionamenti, impensabili negli altri paesi occidentali, soffocano il sistema. Qui si gioca la nostra battaglia.
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