L’All-Star Game NBA è la prova che gli USA non sono l’Europa

6 Marzo 2021
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Tra i tanti pregi degli sport professionisti statunitensi, spicca quello di prevedere con rigore scientifico quello che sarà il futuro anteriore, una delle tante caratteristiche che li rendono così iconici tra i millennial di tutto il mondo.

Basti pensare all’All-Star Game dell’NBA, che torna nella notte tra domenica 7 e lunedì 8 marzo, con diretta su Sky Sport NBA da mezzanotte circa; la partita inizia alle 2 di notte, preceduta dallo skill challenge (una sorta di tiri a canestro con percorso ad ostacoli) e dalla gara del tiro da tre punti, mentre la sfida delle schiacciate è in programma durante l’intervallo.

La storia dell’All-Star Game dell’NBA

L’All-Star Game nacque nel 1951, per mettere a confronto i migliori giocatori della NBA, divisi in due squadre in rappresentanza della Eastern e della Western Conference: ogni anno una sede diversa, ogni anno l’attenzione degli appassionati di tutto il mondo sempre più entusiasti nel vedere per una volta all’anno il meglio del meglio del basket americano sfidarsi in un’esibizione dall’alto tasso spettacolare.

Con l’arrivo del Dream Team alle Olimpiadi nel 1992 e il tantissimo basket NBA trasmesso sia in tv che sul web, il fascino dell’All-Star è scemato di anno in anno, riducendosi a semplice kermesse, più che a una sfida tra fuoriclasse per ribadire la propria leadership, al punto che tra più addetti ai lavori ci si iniziò a chiedere l’utilità di una partita del genere.

La nuova formula dell’All-Star Game dell’NBA

In tanti a questo punto avrebbero archiviato la pratica con tanti saluti e tanti ringraziamenti, invece l’NBA ha saputo rinfrescarne immagine e contenuti. Dal 2018 i due atleti più votati scelgono un giocatore a turno, sino a formare la propria squadra; dallo scorso anno i primi tre quarti ripartono ogni volta da zero e il quarto finale viene vinto da chi arriva per primo a quota 24, numero scelto come omaggio a Kobe Bryant.

Il punteggio finale sarà dato dalla somma dei punti totalizzati nei primi tre tempi più i succitati 24: formula non di immediata chiarezza, non proprio intellegibile per chi non abbia frequentato playground e campetti, ma utile a conferire pathos per tutta la durata del match, che negli ultimi anni si era trasformato in sorta di tiro al piccione; nel 2017 il risultato finale fu 192 a 182 per il Western Conference.

 

Quest’anno i capitani delle due squadre sono Lebron James e Jayson Tatum; quest’ultimo prende il posto di Kevin Durant, assente per infortunio. Doc Rivers (Philadelphia 76ers) per il Team Durant/Tatum e Quin Snyder (Utah Jazz) per il Team LeBron i due allenatori, la State Farm Arena ad Atlanta la sede prescelta.

In Europa il calcio è lontano anni luce

L’intero ricavato della manifestazione sarà devoluto in beneficienza. Mentre nell’Europa calcistica si è ancora molto lontani da una visione comune che sappia ottimizzare la Champions League e renderla un prodotto in grado di competere in tutto e per tutto con il basket a stelle e strisce, nell’NBA non si perde tempo.

Se qualcosa non funziona o ha stancato, si studia una soluzione e la si applica: e se nemmeno questa dà i frutti sperati, la si modifica di nuovo alla velocità della luce. Una vera e propria mentalità da millennial: cambiare, prima di essere costretti a farlo o sia troppo tardi.

 

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