Che cosa ci insegna la challenge social finita in tragedia a Roma?
Una challenge social scatena un incidente mortale a Roma: un gruppo di youtuber a bordo di un Suv di grossa cilindrata si è schiantato contro una Smart Forfour e ha causato la morte di un bambino di 5 anni, ferito gravemente la sorella di 3 e la madre di 29. La sfida dei giovani? Guidare per 50 ore no stop, nonostante la stanchezza. Dove sta il problema in tutto ciò? I social possono uccidere o sono “semplicemente” le persone a farlo?
L’incidente avvenuto a Roma il 14 giugno 2023 è l’ennesima prova che qualcosa, in questa società, non funziona più. Succede che il gruppo di 5 youtuber dei TheBorderline, 600 mila iscritti su Youtube e 270 mila su TikTok, si lancia in una nuova sfida azzardata che, purtroppo, finisce in tragedia. La challenge social consisteva nel noleggiare un’automobile di grossa cilindrata, salirci a bordo e guidare per 50 ore senza mai fermarsi. Una volta accomodati sul Suv Lamborghini, i TheBorderline hanno cominciato a guidare, con il solo e unico obiettivo di vincere la sfida, che avrebbe portato loro nuove views, nuovi click e un ritorno economico legato proprio a questi due elementi.
Durante il lungo tragitto, i giovani youtuber hanno postato vari video su Instagram, in cui per altro lamentavano anche una certa stanchezza, ma questo non li ha comunque spinti a fermarsi. Vincere la sfida era la priorità, costi quel che costi.
Non si è ancora capito che cosa sia successo veramente: secondo alcune ricostruzioni può essere che il Suv, a un certo punto della sua corsa, sia finito contromano poco prima di colpire violentemente la Smart sulla fiancata destra. Su quella fiancata destra, purtroppo, era seduto il piccolo Manuel, 5 anni, deceduto poco dopo all’ospedale di Ostia. Con Manuel c’erano però anche la madre e la sorella, entrambe ferite in modo grave. Il giovane che era alla guida del grosso Suv Lamborghini è indagato per omicidio e lesioni stradali aggravate: alcuni residenti avrebbero avvistato l’auto andare avanti e indietro nella stessa strada dell’incidente, con una velocità altissima, pari a 100 km orari. Una follia.
«Non siamo ricchi, ma…»: il format delle challenge social è tipico dei TheBorderline
Il collettivo di youtuber ama il format delle challenge social, tanto da averne fatto un vero e proprio impero. Il loro “manifesto” parla chiaro:
Non siamo ricchi, ma ci piace spendere per farvi divertire a voi! Tutto quello che facciamo si basa su di voi, più supporto ci date, più contenuti costosi e divertenti porteremo, tra sfide, challenge e scherzi di ogni tipo cercheremo di strapparvi una risata in ogni momento. Ogni singolo euro guadagnato su YouTube verrà speso per portare video assurdi e unici: la nostra fonte di ispirazione è il grande MrBeast che in America ha costruito un impero attraverso questo tipo di video, ispirandoci a lui porteremo per la prima volta in Italia contenuti simili, che potranno essere portati avanti solo attraverso il vostro grande supporto
La sfida li identifica, li rende “unici” nel loro genere: li abbiamo visti tagliare divani con coltelli di plastica, li abbiamo visti mangiare lingue di bovini, resistere il più a lungo possibile in una sauna o ancora resistere nel ghiaccio. L’ultima sfida, però, è finita male, malissimo: viaggiare per 50 ore no stop su un Suv Lamborghini è costato loro caro, anche se a pagarne le spese maggiori è stato Manuel, che ci ha rimesso la vita.
Perché si arriva a compiere sfide così estreme sui social?
Appurato che non si tratti di ragazzi violenti e di killer seriali, era quasi scontato che dopo il tragico incidente di Roma il gruppo dei TheBorderline finisse al centro di un polverone social piuttosto pesante. Inutile dire che i commenti arrivati agli youtuber siano pieni di rabbia per quanto successo, ma forse bisognerebbe riflettere su un altro aspetto importante della faccenda: che cosa spinge realmente queste persone a compiere delle challenge social così estreme? Che cosa si nasconde dietro tali gesti e fino a che punto ci si può spingere per diventare virali online?
Sono domande su cui tutti e tutte dovremmo riflettere a lungo: sono i social a uccidere le persone o sono “solo” le persone a farlo? Noi opteremmo più per la seconda, ma i social in questo meccanismo hanno un ruolo essenziale: la ricerca spasmodica del consenso sociale. I social non sono il fulcro del problema, la dipendenza che possono creare in chi li utilizza, però, sì.
Arrivare ad accettare sfide così estreme significa volere catturare l’attenzione del proprio pubblico: tenerlo attivo, coinvolgerlo, assicurarsi che stia incollato allo schermo, apparire infallibili ai suoi occhi ed essere sempre e comunque sul pezzo. Dietro challenge così folli vive la paura costante di fallire e di cadere nel dimenticatoio: quanto può durare il successo? Forse dopo questo tragico incidente, molto poco.
Dovremmo iniziare a chiederci il perché di queste dinamiche: come mai sempre più persone sono attratte da questo tipo di contenuti? Se non sono i social in sé il problema di fondo, non è forse il caso di educare gli utenti a farne buon uso? In che direzione si sta muovendo la società e fino a dove ci spingeremo per evitare di essere dimenticati dal pubblico?
Chiediamocelo ogni giorno, mentre aspettiamo una nuova tragedia.