fbpx

La politica ha bisogno di Junior Cally, chiunque sia, altrimenti non sa che dire

20 Gennaio 2020
4010 Visualizzazioni

Gli artisti vanno a Sanremo per fare promozione. Ecco il motivo per cui l’antipatico Salmo non ci va. Non ne ha bisogno. Ora, a Sanremo c’è finito anche Junior Cally che non ho idea di chi diavolo sia. Si sono tutti incatzati: lo hanno definito sessista. Ma è davvero così?

Salmo fa già San Siro e può permettersi di disertare il palco da super ospite. O almeno così dice. Gli artisti ci vanno in quanto fanno parte di lotti di vendita delle case discografiche che impongono sul mercato dei loro “prodotti”. Alcuni sono prodotti consolidati, altri sono esprimenti, altri ancora dei veri investimenti economici. Questo non vuol dire che ci sia una brutta qualità musicale, anzi. Spesso il Festival ci ha dato delle chicche (Achille Lauro l’ultimo caso). Questo non deve nemmeno uccidere la poesia, l’importante per il pubblico è che le canzoni siano cantabili.

Gli stili musicali si adattano al costume dell’epoca e cambiano al mutare dei contesti. Abbiamo avuto gli anni settanta del cantautorato politico e impegnato, gli ottanta alla ricerca di frivolezze ed elettronica, i novanta ripiegati su se stessi e il loro pop sdolcinato, i duemila con musiche rarefatte e tanta ideologia. Oggi siamo nell’era del rap e i suoi derivati. L’era in cui si esibiscono macchinoni, ci si tatua in faccia, si mettono le ragazze a culo fuori a ballare sui verdoni e si ostentano ricchezze folli e violenza dette sbiascicando. E inventano un gergo che è l’incubo degli insegnanti di italiano (Dark Polo, Signorino, Bello Figo etc). 

È un genere. Punto.

Oggi l’industria musicale punta su rap, trap e sottogeneri vari. Il settore degli acquirenti (bambini, teenager, giovani in generale e gente che è disposta a spendere dei soldi per un concerto, uno streaming, qualcuno anche un disco) chiede quel prodotto.

Il rap ha una sua codificazione del linguaggio, fatta di meccanismi che devono entrare in corto circuito. Ci sono un sacco di parole e ritmi serrati su cui spararle e poi ci sono delle atmosfere più o meno ricorrenti che promuovono contesti di spacconeria varia. L’estetica di questi artisti è spesso di denuncia ma piena di humor nero, oscenità, provocazioni. Si è arrivati quasi a un’azzeramento del senso e del linguaggio con Young Signorino e la Dark Polo Gang. In poche parole: tutto quel casino non vuol dire un catzo.

Ci sono gli artisti che riescono a farlo mantenendo la loro originalità, una loro voce. Mi vengono in mente Fibra, il primo Ghali, Liberato e mi fermo qui ma solo per ignoranza personale. Ma c’è una stragrande maggioranza di ragazzini secchi e strafottenti che bruciano i soldi su Instagram, chiamano troie le donne, si tatuano i mitra in faccia. Catzate che fanno parte del contesto.

Chi è Junior Cally? Boh. Lungi da me difenderlo ma non credo sia sessista. Penso solo sia un becero. Io mi vergognerei a cantare le cose che dice Junior Cally ma non ho voglia di fare una battaglia ideologica con quelli a cui piace. Che dovrei dire di tutti i miei amici metallari altrimenti?

La polemica della politica contro il rapper, nello specifico il mondo della cultura tutto contro il rapper, non mi piace. Perché non prendersela con le case discografiche allora? Tutti i cantanti trap o rap dicono quelle cose, chiamano troie le donne e si comportano da dementi su di giri e spacconi. Tutti i ragazzini d’Italia ascoltano i messaggi sessisti nell’indifferenza generale. Fino ad ora nessuno ha detto niente, come mai adesso menarla al tizio con la maschera?

Perché la politica è vincolata ai like che costano una sparata al giorno. Quando non c’è più niente da offendere sul fronte sardine-DiMaio-Salvini si passa ad argomenti random: tra cui il Festival che catalizza come al solito le attenzioni di tutti.

Ma è una sciarada anche questa. La politica è un’altra industria che cerca di posizionare un altro prodotto (umano) ai vertici dei nodi di potere, per poter poi controllare snodi maggiori di consenso, soldi, forza lavoro. La politica ha bisogno di Sanremo come il camino della legna, deve essere un fuoco sempre acceso e necessario, alimentabile con qualsiasi motivo pur che lo si alimenti. Il festival ha bisogno della politica e delle cronache per continuare tutti gli anni a piazzare un paio di cavalli vincenti.

Gesù, gente, non succede più un catzo, è tutto finto. Siamo dentro questa finzione con le nostre reazioni base di approvazione e disapprovazione e lo diciamo sui social dove ogni nostra scorreggia è tracciata e marketizzata.

La vera militanza non è nemmeno nell’off-line, nel detox digitale, forse solo nel fare il punto della situazione ogni volta manco fossimo Il Post. I cosidetti “spiegoni” (che parola di marda). A questo si son ridotti gli intellettuali.

Spiegatemi la mynchya.

Sono sessista come Junior Cally se lo scrivo così?

 

Leggi anche: