I calciatori più pagati del futuro dovranno essere prima di tutto influencer

28 Settembre 2020
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L’autocelebrazione è un dovere professionale del calciatore, quasi quanto il palleggio o il dribbling nello stretto.

 

Ma gli evangelisti non sono d’accordo. Uno in particolare. “Quando fai l’elemosina non suonare la tromba davanti a te…”(dal Vangelo secondo Matteo). Che significa, plus ou moins, non lodarti, non ‘sbrodarti’, non gettare fiori davanti al tuo passaggio. Ma lascia che lo facciano gli altri.

Significa concedere al pubblico il compito ingrato del like, ma il calciatore del futuro deve per saper postare se stesso nel modo corretto: alla grandissima! Perché le vie del web sono infinite quasi quanto quelle del signore.

Si stima che un gol in rovesciata valga un 30-40% in più di ‘mi piace’ su Instagram, Tik Tok o Facebook. Che la firma di un contratto milionario aumenti del 10% il numero di follower al proprio profilo e altrettanti sul sito internet (dati audiweb).

Insomma, calciatori, tiratevela ma fatelo in maniera disinvolta. È come se fosse lecito autoproclamarsi Re ? è quello che siete, del resto. Ma senza scomodare il regno dei cieli. Dice sempre Matteo: “non sappia la destra ciò che fa la sinistra”. E ci mancherebbe. “Palla c’è – palla non c’è” direbbe Boskov. Il post va fatto in maniera intelligente. La serata in famiglia, l’uscita romantica, devono apparire normale routine.

Siate uno di noi e non come quello, tal Antonucci (ex Roma) che con la “gnocca’ di turno si autopaparazza su una spiaggia da favola con bella mostra di addominale scolpito e curve pericolose di lei e le mani nascoste chissà dove. Il tifoso non gradirebbe, si indignerebbe e chiederebbe la vostra testa come un Luigi XVI qualunque. Come é successo al povero Antonucci. “Sobrietà vs dignità”, il buon gusto mixato al trash imperante: son regole sanscrite, non ci vuole un genio per capirle. Eppure ancora qualcuno sbaglia e ci dispiace per lui. S

on cose da Millennial perché Baggio e compagnia cantante, roba anni ‘90, le  magagne le faceva di nascosto. Ora è più difficile, se non te la tiri non sei nessuno. Dice ancora il Santo: “Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole”.

Troppi hashtag fanno male. Basta fronzoli, meglio la sostanza. Gli utenti vogliono i video, di un calciatore che sa parlare non ce ne facciamo nulla. Si stima che un video renda oltre il 100% in più di visualizzazioni. Mica male davvero per uno che vive di visibilità. Basta saper scegliere.

 

I gol vanno benissimo, anche quelli di repertorio purché mandati in loop e resi sempre attuali: ehi, guardate che oggi posso anche non giocare, ma io sono quello che allo Juventus Stadium è salito i cielo alla destra del padre per cogliere una mela dall’albero e darlo in pasto al pubblico pagano. Non è proprio andata così ma il concetto è chiaro. Date agli altri ciò di cui hanno bisogno. Non brioches ma sogni. Se il popolo ha fame, concedetegli Internet: ve ne sarà grato.

E poi ancora, aggiunge San Matteo: “non farti chiamare Maestro, perché il Maestro è solo l’altissimo”. Infatti, Pirlo non sarebbe Pirlo se passasse questo concetto. Maestro di cosa? Maestro di calcio? Può darsi, ora che ha iniziato a predicare il suo verbo pure dalla panchina il titolo gli calzerebbe a pennello. Sarebbe il caso però di trovare un altro epiteto. Rabbì non va bene, ma Sommo Regista potrebbe andare. Il modello evangelico promette il Regno dei Cieli, il Dio Denaro promette delizie terrene. E noi esseri umani che abbiamo pensieri limitati di fronte a un cielo infinito, qualche domanda forse dovremmo farcela prima di concedere i nostri meriti a Facebook. Ne vale la pena per qualche maglietta venduta in più?

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