Quel piccolo fastidio che provoca(va) il patriottismo
C’era bisogno di una pandemia per ritrovare lo spirito di patria? Forse sì, ma il prezzo, come vedete è alto, troppo alto. E allora per il futuro attrezziamoci a diventare un Paese vero, reattivo e compatto. E fanculo destra e sinistra.
Ci sono italiani, soprattutto di classe agiata, che hanno applicato per molti anni l’orgoglio italiano soltanto al cibo e alla moda. Sussurrandolo. Abbiamo vissuto e onorato il patriottismo degli altri, sperando che fosse il collante per una vera Europa unita, dalla crisi di Charlie Hebdo alle altre sfighe che mano mano l’ultimo decennio ci ha inflitto.
Il patriottismo è un po’ retorico, questo è vero. Ma l’equazione retorico uguale ignorante è stata da sempre una smorfietta snobistica dei circoletti buoni.
E così siamo andati avanti senza eroi, senza parate, senza rispetto per il mestiere militare. Il tricolore è stato sempre e solo sventolato durante i mondiali di calcio, gran sublimazione della mancanza ormai totale di identità e personalità.
Oggi che ci dichiariamo orgogliosi di essere italiani, addirittura lo facciamo con un hashtag in inglese #proudtobeitalian in un video di Puliafito postato da Chiara Ferragni e molto condiviso. Un concentrato di retorica italiana da paura: Capri, Portofino, Firenze, Nel Blu dipinto di blu, collinette senesi, canali veneziani e via dicendo.
Ma va bene così: se serve a ritrovare il patriottismo vero vanno bene anche gli stereotipi. Ma per il futuro, noi millennial dovremmo prenderci carico di fondare un nuovo patriottismo, che poi è soltanto una forma di maggior consapevolezza di essere una comunità in gamba e di andare fieri di questo. E che il patriottismo, al contrario, non è, come per anni ci hanno fatto credere, la peggior rappresentazione del piegarsi all’autorità costituita.
Una certa retorica della ribellione quando diventa mainstream fa l’effetto di Checco Zalone che si presenta nella villa dei radical chic con la maglietta di Che Guevara, per farsi accettare. Non abbiamo mai preso veramente sul serio le nostre ultime partecipazioni alle guerre in giro per il mondo. Eppure abbiamo bombardato e abbiamo perso soldati anche noi.
Ma i soldati sono solo soldati e se erano rapiti come i nostri marò da più parti si scriveva che in fondo si trattava di un rischio del mestiere. Era così che si guardava il patriottismo prima della Grande Tribolazione del 2020. Diteglielo in faccia adesso a quelli che fanno questo mestiere, buttati nelle strade a controllare senza mascherine che la popolazione stia a casa in sicurezza.
Adesso che per un bel po’ di tempo a Roma, Venezia e Firenze non si potrà più dire chissenefrega se trattiamo male i turisti «tanto vengono lo stesso», l’Italia dovrebbe trovare la forza di resettare l’infinita gerarchia divisiva che la attanaglia. I partiti, e dentro i partiti una costola che sta di qua e una costola che sta di là, e dentro le categorie professionali uguale. E le piccole invidie e i giochini di potere del cazzo per mangiare sulle opere pubbliche. E «quante stupide galline che si azzuffano per niente», come canta Franco Battiato.
Chi ha intascato tangenti per ospedali che non sono mai stati costruiti oggi dovrebbe pensarsi corresponsabile della mortalità di questo virus. Lo stesso dicasi per chi ha sempre tagliato la sanità. È inutile dire, “ah ma adesso tocca alla Francia…”. Sarà anche vero, ma siccome loro di posti di terapia intensiva ne hanno 20mila e noi 5mila, la Francia avrà chiaramente meno morti.
Tutti questi personaggi dentro e fuori dalle istituzioni dovrebbero eclissarsi, sparire e noi smettere di considerarli italiani. Il nuovo patriottismo non ha bisogno di loro. È colpa anche nostra? Sì ovviamente, siamo stati menefreghisti, grandi maestri dell’arte di fotterci a vicenda, creduloni spesso, approfittatori anche, evasori, furbetti in grado di sfuggire alle leggi grazie alle leggi.
Patriottismo non è cecità, non è non vedere i difetti e i limiti, non è esaltarsi davanti a una nietzschiana volontà di potenza. Patriottismo non è propagandare superiorità di razza o di credo o altro e con questa scusa cedere alla tentazione di creare imperi.
A differenza dell’Italia, chi ha creato imperi (e con essi sfruttamento di persone e risorse), dopo qualche mea culpa ha comunque tenuto alta la concezione del proprio Paese. Ed è guardato con rispetto e ammirazione: il Giappone è uscito sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale. Ma oggi è una potenza e il senso di appartenenza di quel popolo non ha mai mostrato crepe.
La Francia gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno un tale attaccamento alla bandiera che viene il dubbio che ancora si credano un impero. Eppure li elogiamo, li invidiamo, vogliamo essere come loro. Ma perché?
Chissà se questa lezione servirà. Perché è chiaro a tutti che sta succedendo qualcosa di sconvolgente che ci bastona forte e sembra mandarci a fare in culo come nel monologo di Ed Norton nella 25esima ora.
Stavamo lì a discutere di destra e sinistra? Fanculo. Stavamo lì a raccontarci la sharing economy? Fanculo. Ci siamo divisi tra vegani, fruttariani, omeopatici, allopatici, intolleranti? Fanculo. Ci siamo etichettati come europeisti e secessionisti? Fanculo. Siamo stati tav e no tav e vax e no vax e vattelapesca. Basta, fanculo.
Tutti, da qualsiasi parte siano stati nel passato devono recuperare cervello e pragmatismo, rispetto e voglia di lavorare, umiltà e spirito di servizio verso chiunque, indipendentemente da credo politico religioso, conto corrente e disturbo di personalità. Ci vuole un nuovo Umanesimo.
La società globalizzata, i cui benefici tardano a farsi vedere, non vuol dire per forza annullarsi nella contaminazione delle idee. Le idee sono come i virus, circolano comunque. Le ideologie hanno rovinato intere generazioni e quel che è peggio, tutte, nessuna esclusa hanno finito per flirtare con quel meccanismo diabolico che è il Mercato, che pure è un virus e ha come sintomo primario l’avidità incurante di tutto. Negli ultimi anni poi il Mercato si è alleato con la tecnologia e insieme hanno fatto ancora danni e danni. Tagliare con il passato è difficile? Ovvio che lo sia. Ma forse questa emergenza lo è di più.
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