La Grande crisi Disney dopo 97 anni di successi. I figli dei millennial andranno ancora a Eurodisney?
Se esistesse la lista dei cambi di carriera più sfigati del mondo, il premio 2020 andrebbe a Bob Chapek, amministratore delegato di The Walt Disney Company e nocchiero nella tempesta della grande crisi Disney post Coronavirus.
Perché prendere le redini di un colosso del genere il 25 febbraio 2020 ha più a che fare con le congiunzioni astrali che non con il rischio d’impresa.
Il Coronavirus ha cambiato il volto degli affari della Disney in pochi mesi. L’analisi dei fatti è semplice semplice: se Netflix è una delle società più adatte a crescere in circostanze speciali come la pandemia da COVID-19, la Disney è all’esatto opposto della ruota della fortuna. Fine dell’analisi.
Parchi a tema e resort chiusi, crociere sospese e cinema off limits per mesi. Così il gigante dell’intrattenimento di Burbank, California, è stato colpito su più fronti. E la crisi Disney è diventata il simbolo tangibile della fine di un certo modello di business, che funzionava da 97 anni.
«Il COVID-19 e le misure per prevenirne la diffusione hanno avuto un impatto sui nostri business in diversi modi. Più significativo il contraccolpo sul segmento Parks, Experiences and Products», ha dichiarato la Disney nel suo ultimo rapporto sugli utili per il trimestre e l’anno fiscale terminati il 3 ottobre 2020. «I nostri parchi tematici sono stati chiusi o hanno lavorato a scartamento ridotto per una parte significativa dell’anno.
Le partenze delle navi da crociera e le visite guidate sono state sospese dalla fine del secondo trimestre e i negozi Disney sono stati chiusi per molti mesi del 2020.
Abbiamo anche avuto un impatto negativo sull’attività di licenza per i prodotti. Infine, in Studio Entertainment (la società di produzione di film e media ndr) abbiamo ritardato, o in alcuni casi annullato, le uscite cinematografiche del secondo trimestre».
Tenendo conto di tutti questi effetti, la crisi Disney sintetizza l’impatto di COVID-19 sul suo utile operativo per l’anno fiscale 2020 a 7,4 miliardi di dollari, con il solo segmento Parks, Experiences and Products che ha subito una perdita da 6,9 miliardi.
Credit: Statista
Come mostra il grafico, i ricavi nel segmento che include i parchi, i resort e le crociere Disney, così come le attività di vendita al dettaglio e di licenze di prodotti, sono diminuiti del 37% nei dodici mesi terminati il 3 ottobre.
Un calo delle vendite molto superiore a quello registrato seconda metà dell’anno fiscale Disney.
B2c contro il virus
Nel frattempo, il business direct-to-consumer di Disney, tra cui Disney +, ESPN + e Hulu, avrebbe approfittato dei lockdown, guadagnandoci. Meno di 12 mesi dopo il suo lancio, Disney + ha già raggiunto 73 milioni di abbonati.
Il che se non altro dimostra quanto sia potente l’attrazione del pubblico nei confronti della vasta libreria di contenuti Disney. «La vera luce in fondo al tunnel è il nostro b2c, il business diretto al consumatore, che è la chiave per il futuro della nostra azienda», ha dichiarato il CEO Bob Chapek.
Resta il fatto che, almeno (si spera) per un bel po’ di tempo, i nostri bambini e ragazzini dovranno rinunciare a quelle trasferte disneyane a cui i genitori millennial e non solo si erano ormai abituati. Un weekend lungo a Dysneyland Paris (ex EuroDisney), un passaggio a Disneyworld ecc.
Non resta che sperare che Chapek coinvolga Gastone nella gestione della crisi Disney. Il papero più fortunato di Paperopoli potrebbe essere risolutivo.
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