Fottutamente ecologico: gli allevamenti animali ci sommergono di m*rda

4 Ottobre 2021
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I veri costi dell’allevamento animale.

Il consumo di prodotti animali è il modo più inefficiente di nutrire l’umanità. Se non mangiassimo tutti questi prodotti animali, non dovremmo allevare tutte queste bestie, pertanto non sarebbe necessario:

  • sfamarle, quindi destinare ettari ed ettari di superfici coltivabili per fare mangimi, che devono essere irrigati e avranno bisogno di pesticidi e fertilizzanti;
  • dare loro acqua;
  • dare loro medicine, quindi impiegare risorse e mettere in moto impianti ed industrie per sintetizzarle e produrle;
  • costruire le strutture fisiche degli allevamenti, i quali consumeranno una certa quantità di energia;
  • gestire i loro rifiuti, cioè i loro escrementi, che sono una delle principali cause di contaminazione ambientale.

Tutto questo per circa 70 miliardi di animali allevati globalmente, esclusi i pesci (sì, anche i pesci vengono allevati, ma ne riparleremo nei prossimi articoli).

In particolare in Italia, nel 2019 si contavano circa:

  • 6 milioni di bovini,
  • tra il 9 e i 12 milioni maiali,
  • 7,5 milioni di pecore e capre,
  • 21 milioni di conigli,
  • più di 195 milioni di capi di pollame.

Mangiamo proteine animali e incentiviamo gli allevamenti

La nostra dieta a base di proteine animali è una delle maggiori fonti di emissioni di CO2 ed è la principale causa di distruzione di habitat terresti e acquatici, quindi di perdita di biodiversità.

Le industrie della carne e del latte producono più gas serra di tutte le auto, i camion, i treni, le barche e gli aerei messi assieme.

L’intera Germania, Regno Unito o Francia consumano meno delle 20 principali industrie di carne e latte.

Gli allevamenti producono una grandissima quantità di metano (CH4) che ha un potere riscaldante 25 volte maggiore delle CO2. L’altra faccia della medaglia, quella positiva, è data dal fatto che questo permane meno tempo in atmosfera: stoppare ora le emissioni di CH4 vuol dire vedere dei risultati già nell’arco di un decennio, mentre per la CO2 ci può volere più di un secolo.

Per fermare queste emissioni non dobbiamo spendere miliardi in nuovi impianti di energia rinnovabile, investire in tecnologia del futuro, ricostruire da zero le nostre città. Dobbiamo solo cercar diminuire drasticamente il nostro consumo di prodotti animali. Lo possiamo fare ad ogni pasto, due o tre volte al giorno.

Oltre al metano, l’allevamento produce anche il 65% di ossido nitroso, gas serra con potenziale di riscaldamento 296 volte maggiore alla CO2.

Gli allevamenti causano il cambiamento climatico

Un report svolto da due specialisti ambientali del WORLD BANK GROUP, decreta che la zootecnia è stata responsabile per il 51% del cambiamento climatico causato dall’uomo, se si considera la perdita di depositi di carbone, la deforestazione e le emissioni di metano associate.

Ovvio che ci viene da ridere se ci dicono che uno dei più grandi problemi ambientali sono gli escrementi degli animali che alleviamo. Purtroppo è la sporca verità, letteralmente.

Solamente negli Stati Uniti, 50 kg di escrementi animali sono prodotti ogni SECONDO. Nell’arco di un anno, sono abbastanza rifiuti per coprire ogni metro quadrato di San Francisco, New York City, Parigi, New Delhi, Tokyo, Berlino, Hong Kong, Londra, Rio de Janeiro, Delaware, Bali, Costa Rica e la Danimarca messe assieme. Insomma, siamo sommersi dalla m*rda.

Le zone morte negli oceani

Questa, assieme allo spropositato utilizzo di fertilizzanti, se non viene gestita, raggiunge i corsi d’acqua, mari e gli oceani, causa un fenomeno detto EUTROFIZZAZIONE. Le sostanze presenti negli escrementi degli animali causano dei boom algali. Quindi le parti superficiali dei bacini acquatici si riempiono di microalghe, che in poco tempo iniziano a degradarsi consumando ossigeno. Viene a crearsi, quindi, una situazione di anossia (assenza di ossigeno) che uccide qualsiasi pesce, mollusco, crostaceo in quell’area. Si creano le così dette ZONE MORTE. Se ne contano più di 500 negli oceani di tutto il mondo.

Gli allevamenti e la deforestazione

Nello scorso articolo di FOTTUTAMENTE ECOLOGICO, vi ho raccontato che l’allevamento del bestiame causa il 91% delle deforestazione dell’Amazzonia. Non vi ho detto però che dal 1994 al 2014 in Brasile sono stati uccisi 1.100 attivisti che lottavano per la protezione delle foreste.

Una di queste era una suora, Doriothy Stag, 74 anni, assassinata a bruciapelo una sera mentre tornava a casa da un killer assoldato dell’industria del bestiame. Lottava per la protezione dell’Amazzonia.

La deforestazione non è un problema solo perché si tagliano gli alberi, ma le stesse foreste, in particolare quelle pluviali tropicali, sono casa della maggior parte degli animali, infatti queste aree sono caratterizzate dalla più alta biodiversità di flora e di fauna al mondo. Deforestare vuol dire portare al collasso gli ecosistemi dell’area distrutta.

Da quando l’uomo ha iniziato a coltivare i campi, allevare gli animali e insediarsi in città sempre più grandi, ha portato degli squilibri enormi nel mondo naturale. 10 000 anni fa gli animali selvatici erano il 99% della biomassa e l’uomo solo 1%. Oggi, noi e gli animali che possediamo e alleviamo siamo il 98%, mentre gli animali selvatici sono rimasti solo il 2%.

È una lotta per sopravvivere

Non vogliamo sentirci dire cosa dobbiamo fare, come dobbiamo comportarci e cosa dovremmo mangiare. Non vi è nulla di più fastidioso. Ma, tanto banale quanto vero, siamo tutti nella stessa barca. Non è più una lotta tra chi vuole un cambiamento e chi non vuole cambiare.

È una lotta per la sopravvivenza dell’umanità, per non arrivare al punto di dover arrancare a sopravvivere in un pianeta morto, ma di vivere in salute e in sicurezza in un pianeta che si rigenera, che rinasce, che prospera, che non permette solo la vita ma il benessere, nostro e delle generazioni a venire.

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