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Intervista impossibile al Vate su sesso, cocaina e fascismo a 80 anni dalla morte di Gabriele D’Annunzio

5 Febbraio 2018
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A 80 anni dalla morte del Vate, eccoci a scambiare quattro chiacchiere con lui a proposito di sesso, cocaina e fascismo.

 

 

Gabriele d’Annunzio, non ritiene che la costante ricerca del piacere fisico sia in contrasto con una vita dedicata alla cultura?

 

Tutt’altro. Il libertinaggio mi consente di avere ancora più sete della mia arte. La sensualità, che alimenta l’immaginazione, è la condizione necessaria perché un’anima possa esprimersi e io ho sempre potuto vivere solo così: esprimendomi. Non chi più soffre ma chi più gode conosce!

 

Come mai una normale guardarobiera come Amélie, ribattezzata da lei Aélis, è stata la compagna più fedele dei suoi ultimi decenni?

 

Era piena di una devozione commovente. E, per soprammercato, era dotata di un’abilità eccellente nella fellatio, tanto che la soprannominai hélice, elica. È stata la suprema guardiana dei miei “capitoli”, com’io ero solito chiamare gli orgasmi.

 

Eppure si circondò di innumerevoli altre donne. Non le fu mai fedele?

 

Come scrissi nel Piacere, l’ideale per un uomo è essere infedele a una donna fedele. Non v’è coppia fedele per amore. Anzi io, per amore, sono infedele.

 

Com’è nato in lei questa vocazione all’edonismo?

 

Giunsi a Roma dall’Abruzzo. La frustrazione per le mie origini provinciali, gli sfottò dei compagni di studi per le mie vocali chiuse, accrebbero in me la brama di rivalsa. Nella Città Eterna mi s’offrì subito un caleidoscopio di bellimbusti, balli e dame impellicciate che non tardai a immortalare col mio personalissimo stile sui giornali.

 

Non tardò neppure a scialacquare, a quanto ne sappiamo.

 

Una tendenza che ereditai da mio padre. Disprezzo il concetto di denaro, ma come fare a vivere nel bello senza avvalersi del suo potere?

 

Anche coi figli non si è risparmiato, caro signor Gabriele D’Annunzio. Ne ebbe tre solo da sua moglie, Maria, giusto?

 

Sì, ahimè. Eccezionalmente, sbagliai. Un artista dovrebbe augurarsi che il suo spirito sia fecondo e la sua carne sterile. Dovrebbe rinunziare alla posterità carnale in profitto della sua opera.

 

Che cosa ama di più in una donna?

 

Ciò che ha di misterioso e irrisolvibile. Quel qualcosa di indicibile al quale allude solo attraverso le movenze e i gesti. Forse amo le donne tragiche. Non voglio dire che non si possa sviluppare una certa tecnica interpretativa, piuttosto ritengo che la donna sia la sola scienza che si possa apprendere.

 

Lei non è, ci sia concesso, bello nell’accezione classica, o sommo Vate. Come ha fatto a sedurre centinaia di donne?

 

Già prima dei trent’anni godevo di fama mondiale. Fui sempre signore, anche se non sempre ricco. Le modellature del mio cranio sono tra le più espressive bellezze del mondo e ho mani tanto aggraziate che sembrano appartenere alla flora sottomarina. Do a ciascuna donna l’impressione di essere al centro dell’universo. Soprattutto fui dotato dalla natura di un membro che non a caso si guadagnò gli epiteti di “gonfalon selvaggio”, “principino”, “catapulta perpetua” e “monaco di ferro”.

 

Come riuscì a conservare tanto a lungo questa potenza sessuale?

 

I maligni mi giudicherebbero ipocondriaco. In un piccolo studio, adiacente alla mia camera da letto, collezionai colliri, lozioni, digestivi, purganti, che inibirono l’inevitabile progredire degli acciacchi dovuti all’età.

 

Non disdegnò neppure la cocaina, lo conferma?

 

Fu una passione che si acuì più che altro negli ultimi anni. Mi vergognavo di una dipendenza che mi obbligava ad alternare periodi di inappetenza e depressione, ad altri in cui mi abbuffavo di cibo, di donne e di vita. Un superuomo dovrebbe essere immune da ogni costrizione e allo stesso tempo non negarsi nulla di quello che brama la sua volontà. Rimasi vittima di questo paradosso.

 

Cosa ci può dire del suo ambiguo rapporto col fascismo, signor Gabriele D’Annunzio.

 

Non ho voglia di parlarne. Basti sapere che sono sempre stato un capo senza partigiani, un condottiero senza seguaci, un maestro senza discepoli.

 

Lei sviluppò una sensazionale conoscenza della cultura classica. Disdegnò quindi il progresso?

 

Là dove c’è il bello, ci sono io. E i ritrovati della tecnica possono essere a loro volta opere d’arte. Acquistai un idrovolante, l’Alcyone. Una Trikappa Torpedo, varie Lancia Lambda, una Fiat 509, una Fiat Tipo 4, un’Isotta Fraschini. L’automobile ha la grazia, la snellezza e la vivacità di una seduttrice. Ma rispetto alla femmina ha una virtù in più: la perfetta obbedienza.

 

Che cosa la eccita di più in un rapporto sessuale?

 

Probabilmente penetrare in una donna gracile, violentemente, come sferrando un colpo di coltello per passarla da parte a parte. Ma l’atto sessuale dev’esser preceduto da una preparazione che coinvolge tutte le facoltà, tesa a liberare dalla civiltà, dalla tradizione, dal costume, da tutto quel che nei secoli ha diminuito l’uomo.

 

Le sue ospiti devono agghindarsi in qualche maniera particolare prima di offrirsi?

 

Ho messo a disposizione per loro profumi che vanno dal gelsomino di Corsica al lillà bianco, e vestiti che faccio giungere dalle migliori sartorie italiane e ai quali appongo la mia etichetta, Gabriel Nuntius Vestiarius.

 

Si ritiene quindi un appassionato di moda?

 

Nonostante al Vittoriale conservassi un centinaio di vestiti, trecento camicie di seta, duecento paia di scarpe, una cinquantina di cappelli e più di cinquecento cravatte, ho sempre detestato le donne che falsificano loro stesse, che vanno dal parrucchiere, che si depilano fanaticamente, che cancellano tutti i rilievi energici del loro carattere per diventare donnette alla moda, mannequin à la page.

 

Quale donna ha amato di più?

 

Questo non saprei dirlo. Ma quella che mi ha ossessionato di più, soprattutto dopo la sua morte, è stata Eleonora Duse, che fu mia amante dal 1894 per una decina d’anni. Ricercavo i suoi tratti nelle mie nuove conquiste, parlavo di lei con le donne che vivevano al mio fianco fino a farle impazzire di gelosia per il passato, amai sempre le rose bianche che lei stessa amava. Nella mia Officina ero solito scrivere sotto il calco in gesso del suo volto, anche se, quando mi riproponevo di creare sul serio, lo bendavo con un fazzoletto di seta, perché non potevo lavorare se Eleonora mi guardava.

 

Con la sua passione per i neologismi e la sua lungimiranza si ritiene un capostipite di quello che oggi chiamiamo marketing?

 

Direi di sì. Capii che potevo essere al contempo un testimonial e un copywriter, come si dice. Così non pagavo i vestiti che i migliori sarti del mondo confezionavano per me, perché eravamo tutti consapevoli della pubblicità che così ne ricavavano. Venni incaricato da una società di Bologna di creare nomi per nuovi profumi, come “L’ardore del Carso” o “La rosa degli uscocchi”. Fui io a inventare i nomi dell’Unicum, de La Rinascente, dello Scudetto come simbolo della vittoria nel campionato di calcio.

 

A proposito di sport, Lei, Gabriele D’Annunzio, ritiene di avere sovvertito anche lo stereotipo del letterato gracile e inattivo?

 

Già al collegio mi guadagnai le lodi degli educatori per la scherma e la ginnastica. Basti pensare, per comprendere la mia lungimiranza nell’individuare nello sport uno dei catalizzatori delle passioni della società di massa, che nel 1885, dieci anni prima della nascita della Gazzetta dello Sport, convinsi la Tribuna a farmi inaugurare una rubrica chiamata “Sport e altro”. Non fui mai dedito all’alcol, mi obbligai a lunghi periodi di digiuno e frugalità alimentare, fui sempre ghiotto di frutta che, oltre alle virtù nutritive, è, non a caso, bella.

 

Tutto ciò non bastò, ovviamente, a fermare l’avanzare dell’età. Lei che ha fatto dello sfregio della morale una regola di vita, con l’avvicinarsi della morte ha però sperato nella resurrezione cristiana?

 

No, sono voluto restare col nulla che mi ero creato, con la mia lussuria sfrenata. Come rinnegare tutto d’un tratto? Piuttosto che condurre una vita da monaco preferisco la polvere, la putretudine, i vermi che ci mangeranno. Tuttavia, anche se la morte mi appariva come la forma della mia perfezione, perché è calda, bella e inebriante come la vita, non seppi mai “essere vecchio”.

* La maggior parte delle citazioni e dei riferimenti alla vita di Gabriele D’Annunzio sono estratti dal libro La mia vita Carnale di Giordano Bruno Guerri, Arnoldo Mondadori, 2013.

 

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