Nel mondo, le donne guadagnano in media il 23% in meno rispetto agli uomini. Come mai?
Il fenomeno prende il nome di gender pay gap, viene definito come “uno dei più grandi furti della storia”. E indica, a parità di livello e di mansione, la differenza di stipendio tra uomini e donne.
Dalle ricerche condotte dall’ONU non sembra possibile fare una divisione per paese, settore o qualifica: in generale, non è possibile individuare un paese o un settore in cui uomini e donne abbiano lo stesso riconoscimento da un punto di vista salariale.
Ma veniamo al gender pay gap nel nostro Paese, che rispetto ad altre zone del mondo sembra passarsela piuttosto bene. Secondo i dati Eurostat, in Italia le donne guadagnano in media il 5,5% in meno rispetto ai colleghi uomini. Che non è poco, ma paragonato alla media Europea che è pari a quasi il 17%, non è poi cosi male.
Purtroppo, però, basta parlare di RAL per fare cascare il palco: dal report di Jobpricing del 2017, l’Italia passa dal podio direttamente al 50° posto in termini di disparità salariale se si va a considerare la Retribuziona Annua Lorda.
Il gender pay gap interessa soprattutto i ruoli più alti, tendenzialmente quelli manageriali: l’ultima statistica rileva una differenza di stipendio a favore degli uomini pari al 23%. Questo dato riguarda i ruoli di dirigenti e si ferma al 2014, per cui possiamo solo sperare che in questi 5 anni qualcosa sia cambiato in senso migliorativo. Di contro, le minori differenze si rilevano nelle professioni con reddito più basso, come ad esempio le professioni impiegatizie e per i lavorati dei servizi e del commercio.
Come mai?
Una delle principali differenze riguarda la gestione che uomini e donne fanno del tempo che hanno a loro disposizione: gli uomini passano in media più tempo sul luogo di lavoro, a differenza delle donne che dedicano parte del loro tempo alla famiglia, impegno non di certo retribuito. E questa un po’ è la definizione dei ruoli sociali e un po’ è un’attitudine che, non possiamo negare, è più affine alle donne che agli uomini.
Ma forse, qualcosa che possiamo fare, c’è: abbandonare la premessa che per fare carriera dobbiamo rinunciale alla maternità e viceversa.
E proprio in questa direzione, si sta muovendo qualcosa: con l’obiettivo di ridurre la disparità salariale e quindi per spalmare le responsabilità su entrambi i genitori, si sta iniziando a parlare di giorni obbligatori in termini di congedo per paternità. Non male pensare di darsi il cambio, vero?
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