Gianluca Vialli, un vero gentiluomo
La nera mietitrice continua a colpire gli idoli sportivi: dopo Mihajlović e Pelè, giovedì 6 gennaio 2023 è morto Gianluca Vialli. Il tumore al pancreas che lo affliggeva da anni se l’è portato via.
In un mondo sempre più diviso e divisivo, con ultras e fazioni sempre pronti ad insultarsi per qualsiasi motivo, poche persone hanno saputo meritarsi amore e rispetto da parte di tutti quanti come Gianluca Vialli. Uno dei pochi calciatori dotato di una buona educazione ed altrettanta cultura, uno dei primi a sprovincializzarsi quando decise di terminare la sua carriera andando a giocare in Inghilterra. Uno dei pochi calciatori in grado di affrontare con eleganza, classe e serenità la sua vita da ex atleta professionista: un privilegio non riservato a tutti e che Gianluca Vialli ha saputo gestire con grande dignità sino all’ultimo.
Una carriera lineare ed esemplare
Nato a Cremona nel 1964, Gianluca Vialli iniziò a giocare nelle giovanili del Pizzighettone, per poi passare alla Cremonese; dal 1984 al 1992 militò nella Sampdoria, dal 1992 al 1996 nella Juventus, dal 1996 al 1999 al Chelsea in Premier League, dove dal 1998 rivestì il doppio ruolo di player e manager; la sua carriera di allenatore si concluse la stagione successiva al Watford. Dopo anni di brillantissimo commentatore per Sky, dal 2019 era diventato capo delegazione della Nazionale Italiana, allenata dal suo sodale e più che amico fraterno Roberto Mancini. Insieme lo scorso anno hanno vinto gli Europei a Londra. Nessuno potrà mai dimenticare l’intensità e le emozioni derivate dal loro abbraccio allo Stadio di Wembley. Non era soltanto un abbraccio per un aver raggiunto insieme un traguardo impossibile, non era soltanto un abbraccio tra due autentici Diòscuri. Era un unirsi per l’eternità, sullo stesso campo dove nel 1992 avevano perso la finale di Coppa ei Campioni contro il Barcellona.
Vincitore dentro e fuori dal campo
Da calciatore, Vialli ha vinto tutto quello che c’era da vincere: scudetti, Coppa d’Inghilterra, Champions League, Coppa delle Coppe e Coppa Uefa; 123 i suoi gol in serie A, 59 le presenze in Nazionale con 16 reti. Anche il suo palmarès da allenatore non è stato affatto male: nelle due stagioni in Inghilterrra si è aggiudicato Coppa d’Inghilterra, Coppa di Lega, Charity Shield, Coppa delle Coppe, Supercoppa Europea. Che fosse un campione lo era intuito da subito, anche e soprattutto quando Gianni Brera, il più grande giornalista sportivo italiano mai esistito, lo definì Stradivialli, in onore alle comuni origini cremonesi di Vialli e del liutaio Antonio Stradivari. Potenza e classe, eleganza e disincanto, il tutto sublimato da un’educazione davvero d’altri tempi. Questo era Gianluca Vialli: la sua idea di calcio è raccontata molto bene nel suo libro “The Italian Job”, un accurata analisi di che cosa sia quel gioco che qualcuno ha mirabilmente definito “la cosa più importante tra quelle meno importanti”.
La lezione d’inglese
Un’educazione che Vialli ha sempre palesato grazie alla sua famiglia e che ha irrobustito una volta trasferitosi a Londra, dove poi nel 2003 si sarebbe sposato con Cathryn White Cooper, con la quale ha avuto le due figlie Olivia e Sofia. “L’Inghilterra è un mix di disciplina e libertà – disse in una sua intervista al Corriere della Sera – Si pagano le tasse, si fa la coda, ci si ferma alle strisce pedonali”. Una vita condotta all’insegna dell’understatement, del less is more, al punto da indossare un maglione sotto la camicia per nascondere la malattia perché “ti prende come un senso di vergogna, come se quel che ti è successo fosse colpa tua”. Poi decise di raccontare tutto nel libro “Goals, 98 storie +1 per affrontare le sfide più difficili” per far si che qualcuno lo potesse guardare negli occhi e dirgli “è anche merito tuo se non ho mollato”.
Un vero gentiluomo pensa sempre a quello che dice e dice sempre quello che pensa. Gianluca Vialli era un vero gentiluomo. A true gentleman.