Il Brand Activism, oltre al fronte Israele-Hamas si apre quello di un’adv che pochi immaginavano
Ripostiamo un bel pezzo su un attivismo di cui si è parlato ancora poco.
di Stefano Nava dalla Gazzetta del Pubblicitario
Domenica 6 ottobre 2023, a poche ore dal lancio di migliaia di missili nelle postazioni di Hamas nella Gaza Stripe, la stella di David incastonata nei colori della bandiera israeliana spiccava nello scintillio delle billboard di Time Square. La sola bandiera, senza alcun messaggio, quasi sospesa nel tempo, che fotografa questa tragica parentesi dell’attualità geopolitica. Nel centro del sancta sanctorum della pubblicità OOH,American Eagle, brand di abbigliamento, esprime solidarietà a Israele – peraltro a pochi passi dal suo flagship store.
American Eagle non rimane una scheggia impazzita, una voce solitaria: decine di marchi, inserzionisti, agenzie e tech company hanno diffuso messaggi di solidarietà allo stato ebraico. E non solo: anche gli opinion leader hanno fatto sentire la propria voce. Partendo da Craig Brommers, CMO di American Eagle che ha pubblicato una foto del billboard con la bandiera israeliana sul proprio profilo LinkedIn. Rispetto all’Italia il dibattito pubblico in America è molto meno polarizzato e – complice anche la forza di una comunità ebraica tra le più prospere e integrate del pianeta – esternazioni che qui sarebbero percepite come un’invasione di campo non generano polemica, masolidarietà. Più di cento commenti che esprimono, nella quasi totalità, apprezzamento per questa iniziativa tra il brand activism e la presa di posizione politica che – a giudicare da una sommaria analisi del sentiment – pare avere creato buzz molto positivo sul brand, tra cui ronzano anche voci eccellenti. AdAge riporta che Seth Klugherz, VP di Haribo il cui nome tradisce chiare origini ebraiche, ha dichiarato di ricambiare la vicinanza con una contromisura squisitamente privata: “open bar” per le figlie sull’e-commerce dei brand, che potranno acquistare tutto quello che desiderano senza limiti di prezzo.
Nella speranza che il rombo sinistro dei terra-aria lasci spazio al silenzio sul cielo della Terra Santa, traiamo da quanto avvenuto a Time Square una considerazione. Siamo entrati nell’era della Corporate Political Responsibility, o – se vogliamo giocare con categorie già fissate per esprimere qualcosa di inedito – del Brand Activism geopolitico. L’economia mondiale gioca con le regole di ieri ma fa i conti con un mondo nuovo, per certi versi più simile a quello instabile e dilaniato da conflitti regionali della Guerra Fredda.
L’illusione del Villaggio Globale lascia il posto a nuovi confini, ricostruisce un primato della politica sull’economia fino a dieci anni addietro semplicemente impensabile. L’infinita sequela di brand che hanno lasciato la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina è solo un esempio. E non sono gli affari miliardari a saltare: spesso una parola spesa per una causa politica (o una parola non spesa per quella stessa) può causare la tempesta perfetta di una crisi reputazionale. Si pensi ad Auchan: il colosso francese della GDO ha una posizione di predominio sul mercato russo e ucraino ed è tra i pochi a non aver abbandonato né un Paese né l’altro, ricevendo critiche da più fronti. O a Louis Vuitton – non solo ancora presente a Mosca con un flagship store – ma accusata addirittura da Mikahilo Podolyak, consigliere del presidente Zelen’skyj, di “flirtare” con il target altospendente della Federazione, notoriamente amante del luxury Made in Europe. Il post in cui Podolyak mette alla berlina la scelta della casa di moda ha riscosso 2,4 milioni di visualizzazioni e migliaia di commenti indingnati.
Brand sempre più global, internazionalizzatisi in periodi di stabilità, fanno i conti con unordine globale che scricchiola e si trovano a fronteggiare un’imprevedibilità che chiama a sforzi di resilienza quadrupli rispetto alla stagione conclusasi con l’inizio del conflitto russo-ucraino: non solo quando si tratta di mettere la toppe a supply chain che perdono pezzi, ma anche quando urge prendere in considerazione re-shoring coatti oil pubblico chiede assunzioni di responsabilità il più delle volte contrarie alla ragion di bilancio.
Da La Gazzetta del pubblicitario (diritti riservati)
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